PRISCILLA

 

priscilla

La gatta Priscilla lo vide: era un cucciolo di cane molto piccolo. Piangeva disperato in un avvallamento acquitrinoso del terreno, dove era di certo caduto incautamente.

Diede un’occhiata ai dintorni per vedere se la madre stesse per sopraggiungere, ma trovò solo alcune nuvole basse che non promettevano nulla di buono.

Era agitata Priscilla, non voleva mettere in pericolo la propria incolumità (aveva tre gattini da allattare non distante da lì). D’altro canto le spiaceva per quella povera creatura che, nonostante tutti i tentativi, non riusciva a risalire.

Osservò di nuovo il vuoto che la circondava: nulla.

“Tentiamo!” si disse e con tre balzi accurati si trovò di fronte al cagnolino.

Lui le si avvicinò guaendo (la micia non comprese se per felicità o per richiesta di aiuto), lei lo prese in bocca per la collottola e risalì felicemente l’impervia riva.

“Allora? dov’è tua madre?” chiese al piccolo quando furono in salvo.

“Non lo so! Un umano mi ha preso e mi ha gettato in quel posto orrendo. Ho fame e sono solo. Mi puoi aiutare?”

“Certamente. Seguimi.”

Buffi lo erano senza dubbio: una gatta seguita da un cagnetto poco più grande di un topo, che riusciva a malapena a tenere il passo con la sua salvatrice.

Giunsero infine in un fienile dove miagolavano i figli di Priscilla e dove la gatta,   sempre con il metodo della presa per la collottola, collocò il cagnolino.

“Ti chiamerò Oliver, ti piace?” chiese.

“Sì, ma mi piacerebbe ancora di più un po’ di latte!” esclamò il piccolo.

Priscilla non sapeva sorridere, ma ebbe un moto di simpatia verso quel povero esserino che, pur così giovane, aveva già sperimentato la crudeltà di certi umani.

Si coricò su un fianco, offrendo le mammelle ai suoi quattro cuccioli.

Allevò così Oliver che fu accettato con molto affetto dai micini di Priscilla. Essi, infatti, non trovarono mai più un essere tanto disponibile al gioco quanto lui.