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PERCHE' PROPRIO A ME? ?

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Martedì, 24 Maggio 2022 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

pitbull

“Mamma, perché sei così agitata oggi?” chiede Poppy.

“Oh nulla, caro. Vai a giocare con i tuoi fratelli.”

La madre è molto pensierosa e, per scaricare un po’ la tensione, si avvicina alla sorella e le confida: “Ho appena assistito a un incontro tra il nostro tutore e un suo amico, i cui discorsi mi hanno atterrita.”

“Come mai? Raccontami che cosa hai sentito.”

“Il nostro tutore diceva che tra un paio di giorni dovrà scegliere due cuccioli dei miei da consegnare al tipo che viene dalla città, ma che poi avrebbe voluto fare in proprio perché sembra che i combattimenti clandestini tra cani fruttino un sacco di soldi. Io sono molto preoccupata per i miei piccoli: hanno solo due mesi e sono a malapena svezzati. Tu che cosa mi consigli?”

“Credo non ci sia nulla da fare, purtroppo…”

Le due cagnette scuotono la testa e se ne vanno per i fatti loro.

L’indomani il tutore si avvicina alla madre di Poppy e ai suoi cuccioli con un tipo poco raccomandabile che dichiara: “Ma questi non sono pitbull.”

“Come no,” ribatte il tutore, “padre e madre pitbull!”

Il tipo scuote il capo, si avvicina a Poppy, gli apre la bocca con malagrazia e: “Questo è l’unico che posso prendere, gli altri non sono adatti.”

Così Poppy, nonostante gli ululati strazianti della madre, cui rispondono i suoi strilli, viene introdotto in una gabbia e caricato in auto.

Piange, il nostro piccolo, per il distacco dalla mamma e per il terrore che ha invaso la sua vita.

Il viaggio è lungo, o almeno così sembra al nostro amico, ma infine l’auto si arresta davanti a un portone che puzza di dolore lontano un miglio.

Poppy si rintana nella gabbia, rifiutandosi di uscire, rifiuto che gli costa strattoni, pugni e bastonate.

Seguono giorni grigi di terrore, rossi di dolore e neri di rabbia.

Il nostro eroe cresce e con lui le sevizie cui è sottoposto: giorni interi senza mangiare, percosse gratuite, lunghe ore al buio appeso a uno pneumatico stretto tra i denti che non possono mollare la presa, pena dolorose cadute.

La notte il nostro eroe riposa – si fa per dire – accanto ad altri cani che tentano sempre di addentarlo, mentre la sua mente ritorna alla mamma perduta, alla morbidezza del suo ventre e al dolce sapore del latte.

“Perché proprio a me?” si chiede il tapino, non sapendo ancora a cosa dovrà sottoporsi in futuro.

Futuro che arriva fin troppo presto un anno dopo.

Il nostro eroe è portato in una palestra, dove per un’intera settimana lo allenano a mordere e a distruggere tutto quanto a portata di bocca.

“Ora sei pronto, Peste!” gli grida il suo allenatore.

“Peste? Ma io mi chiamo Poppy,” sussurra timidamente il nostro amico, che viene caricato su un furgone con altri compagni e trasportato fino a una discarica, dove dovrà svolgersi il combattimento.

Una buca è stata scavata all’interno di un recinto per i due contendenti che ora si fronteggiano guardandosi in cagnesco.

“Salve,” tenta Poppy, “che cosa facciamo? Giochiamo un po’?”

“Chi pensi di prendere in giro?” risponde il suo avversario, avvicinandosi minacciosamente.

Il nostro eroe indietreggia: ha capito che dovrà misurarsi con quel vecchio mastino, sicuramente più esperto di lui nella lotta.

“Perché proprio a me?” è l’ultimo pensiero che attraversa la sua mente prima del contatto fisico con il nemico.

Ma Poppy è un cane giovane e pieno di energia, così il combattimento termina con il mastino a terra insanguinato ma non domo.

“Mi spiace, non volevo farti male; sei stato tu a cominciare,” dichiara Poppy. “Ti serve aiuto?”

“Vattene,” gli ringhia l’altro, e il nostro eroe esegue.

A Poppy sono medicate le ferite, dopodiché viene rifocillato con succulenti bocconcini e per un paio di giorni è lasciato tranquillo. Poi gli allenamenti riprendono con incitazioni sempre più energiche alla violenza.

Ed ecco arrivare il giorno di un nuovo combattimento.

Stavolta l’avversario è un pastore tedesco quasi interamente nero con una dentatura da far invidia. Poppy è spaventato, retrocede lentamente davanti all’avversario, ma una scarica elettrica somministratagli dal suo allenatore lo stimola alla lotta.

“Perché proprio a me?” è ancora la domanda che trascorre veloce nel suo cervello prima della lotta vera e propria.

Stavolta il nostro eroe fatica molto a rintuzzare gli attacchi dell’avversario, ma alla fine è ugualmente il vincitore.

Non chiede al cane ferito se vuole un aiuto, l’esperienza gli consiglia di lasciar correre.

Il combattimento è stato molto duro, tanto che Poppy presenta diverse ferite che impiegano tempo per rimarginarsi. Così il periodo di riposo è lungo, anche se gli allenamenti non cessano mai.

Il terzo combattimento si svolge in un capannone e l’avversario è stavolta un rottweiler.

I due si girano intorno, si ringhiano improperi e infine si azzannano. L’incontro è particolarmente sanguinoso, e il nostro Poppy stavolta comprende che non ce la farà.

A un tratto il rottweiler molla la presa sulla sua spalla per guardare che cosa sta accadendo: guardie zoofile e carabinieri hanno circondato gli spettatori e si sono avvicinati ai contendenti che, intimoriti dalle museruole e dai guinzagli, abbassano i residui di orecchie e si lasciano imbrigliare.

Poppy ansima: ha perso molto sangue dalle profonde ferite e riesce a malapena a camminare.

È caricato su un furgone e avvolto in una coperta di lana. Accanto a lui giace il suo nemico.

“Ehi,” si lancia il nostro eroe. “Perché ci sottopongono a queste orribili cose? Io non sono per niente aggressivo, devo solo difendermi, lo capisci?”

“Sta zitto se non vuoi che ti azzanni anche le zampe. Ne ho giusto qui una comoda comoda,” ringhia il rottweiler.

“Perché proprio a me?” continua a chiedersi Poppy, ritirando il più possibile la zampa e abbandonando la testa sul fondo del furgone.

Dopo poco i cani sono scaricati in un ambulatorio veterinario. Prima uno e poi l’altro vengono anestetizzati per la sutura delle ferite e, al risveglio, si trovano in due gabbie adiacenti.

Il rottweiler ulula il suo disappunto per essere sfuggito a una sorte che amava, mentre Poppy spera ardentemente di non dover più rifare le esperienze di lotta.

Entrambi sono affidati a un centro di recupero e, prima di essere separati, il nostro eroe chiede al compagno: “Come ti chiami?”

“Angelo della morte,” gli ringhia il rottweiler.

“No, intendevo il tuo nome vero. Io, per esempio, mi chiamo Poppy, ma mi hanno soprannominato Peste.”

“Ah, già,” scuote la testa il rottweiler, “anch’io ho un nome mio personale che però non mi soddisfa per niente. Figurati che mamma mi chiamava Arno. Vuoi mettere Angelo della morte con Arno?”

“Infatti,” sorride il nostro eroe, “Arno è un bellissimo nome e anche poco comune. Che ne diresti se fossimo amici?”

“Beh, vedremo più avanti. Ora lasciami in pace,” termina il rottweiler ammorbidito.

Trascorrono i mesi, Poppy è dichiarato “recuperato” e quindi adottabile, mentre Arno è ancora alle prese con i suoi addestratori.

I due sono finalmente diventati amici, dopo che il rottweiler ha trovato il coraggio di raccontare tutte le sue tribolazioni.

“Ormai non posso più chiedermi perché proprio a me?, visto che tu, come pure molti altri, hai avuto i miei stessi problemi.”

(dal libro di Maria Grazia Sereni “Azzurre come il mare” pubblicato in marzo 2013)