UOMINI E TORI

uomini e tori

Chico si sta cambiando d’abito davanti a Susy che lo osserva con espressione imbronciata.

“Si può sapere che cos’hai?” sbotta l’uomo.

“Per quanto ancora continuerai un’attività tanto crudele?”

“Oh, no! Vuoi ricominciare con la solita storia? Questo è il mio lavoro, quante volte te lo devo ripetere? Smetterò solo quando non sarò più in grado di svolgerlo.”

Susy scuote il capo avvilita. Non comprende come un uomo possa essere tanto crudele da uccidere un toro inerme davanti a centinaia di persone che godono di quello spettacolo. Uno come Chico poi, così affettuoso con lei e con la loro bambina, così amante dei cani e attento a ogni loro esigenza.

“Eppure,” sospira, “un giorno o l’altro dovrai convincerti che stai sbagliando tutto. Spero solo che allora non sia troppo tardi.”

I due si allontanano imbronciati, lei dirigendosi in giardino e lui in bagno per terminare il suo travestimento.

Una volta pronto, Chico esce da casa con un saluto tiepido, mentre Susy resta pensierosa. Poi, come se una diga fosse crollata e avesse riversato nei campi l’acqua del fiume che era deputata a trattenere, la nostra eroina prende un’eroica decisione: scriverà!

Penserete: “Che cosa c’è di eroico nello scrivere?” Molto! State a vedere.

Susy siede davanti al computer, apre un nuovo file e inizia:

Mi chiamo Pepe e sono un toro di due anni. La mia vita trascorre monotona in una stalla, dove mi tengono legato a una catena che termina con un anello infilato nelle mie narici. Avrei tanta voglia di erba fresca, di correre su un prato soffice, di amoreggiare con qualche giovane mucca, di fare a cornate con un amico, e invece no. Sempre rinchiuso in questo buco maleodorante, dove con i miei compagni muggisco il nostro comune disagio.

Ho ascoltato da qualche vecchio toro storie agghiaccianti sulle corride, ma io sono giovane e non temo nulla, neppure gli umani.

Ieri ne sono arrivati tre che mi hanno fatto ingoiare un intruglio disgustoso. Io ho dovuto inghiottirlo, ma a un umano ho rifilato un calcio che ricorderà a lungo.

Stamani mi hanno somministrato diverse compresse di non so che, e ora vedo la stalla tutta sbilenca, con la mangiatoia curva su sé stessa che mi impedisce di mangiare. Anche l’acqua è diventata tanto distante che non sono più in grado di arrivare a bere, nonostante uno zoccolo si sia infilato, non so come, nell’abbeveratoio.

(…)

Sono steso a terra con dolori violentissimi alle reni. No, non sono stati i farmaci di stamattina, è che mi hanno picchiato con sacchi di sabbia proprio in quei punti, e hanno insistito finché sono crollato.

(…)

Mentre ero a terra, sono venuti altri inservienti a limare le mie corna, scoprendo i nervi che ora mi dolgono in maniera insopportabile.

(…)

Quando finirà tutto questo? Perché proprio non ne posso più! Mi hanno appena messo del gel negli occhi, così ora non vedo quasi più nulla.

Soffro di male alle reni, alla punta delle corna, agli occhi, alla pancia e alla gola. Che cosa sarà di me?

(…)

Aaaff… non riesco più a respirare, mi hanno infilato della roba nelle narici e ora anche in gola. Aiuto!!!

“Che cos’hai da sbraitare?” mi chiede il mio amico caval Pedro.

“Aiutami per favore. Non riesco a respirare. Mi hanno infilato non so che in gola e anche nelle narici…”

“Ti aiuterei volentieri, ma non so come fare. Ci vorrebbe un umano. Vuoi che vada a prendere Juan?”

“Sì, per favore, fai presto però. Non so per quanto potrò resistere ancora.”

(…)

“Ciao Pepe. Che cosa ti sta succedendo?”

“Oh, finalmente Juan. Presto, toglimi quello che mi hanno infilato in gola, mi sento soffocare.”

(…)

“Grazie, Juan. Ora anche dalle narici, con delicatezza, mi raccomando.”

“Ma perché non riesci a stare saldo sulle gambe?”

“Tu sei solo un ragazzino, Juan, non sai ancora quanto possono essere cattivi gli uomini. Mi hanno drogato, purgato e picchiato con sacchi di sabbia sulle reni.”

“Per quale motivo?”

“Perché così entrerò nell’arena già mezzo morto, e non sarà difficile per il torero uccidermi senza correre rischi.”

“Non posso credere che ti abbiano fatto tutto questo. Tu, un toro tanto forte e giovane!”

“Mi hanno anche messo della roba negli occhi che mi impedisce di vedere bene. Infatti davanti a me c’è solo una foschia densa, e sono certo che, se riuscissi ad avventurarmi fuori di qui, cadrei subito.”

(…)

“Ora Pepe ti libero dalla catena con queste pinze e ti conduco a casa mia. Pensi di poter camminare? Dovremo andare per i campi, sai, altrimenti ci prenderebbero subito.”

“Tenterò, ma non posso assicurarti nulla. Però vorrei chiederti di portare anche Pedro: siamo amici da quando sono nato.”

“Va bene. Ora stai buono e lasciami lavorare in pace.”

(…)

“Stanno arrivando Juan, nasconditi, non voglio che ti vedano qui. Potresti passare dei guai,” nitrisce Pedro.

“Lascia fare a me. Tu Pepe coricati su un fianco e cerca di sembrare molto, molto ammalato. E lamentati anche, magari sbavando. Chiaro?”

(…)

“Che cosa ci fai qui ragazzo?”

“Ho sentito dei forti muggiti e sono venuto a vedere qual è il problema. Credo che questo toro stia male.”

“Eh, eh, è necessario che stia male… Ora vattene: dobbiamo prepararlo per l’arena.”

“Non credo proprio che ci riusciate. Io sono figlio di un veterinario e ne ho visti di tori in queste condizioni. Vi assicuro che sta per morire. È affetto da una nuova specie di peste bovina che può contagiare anche altri animali, se non fosse già accaduto.”

“E non si può fare nulla? Tuo padre sarebbe in grado di curare questo toro? Ha solo due anni e ci dispiacerebbe perderlo.”

“Avete un cavallo che mi possa aiutare a portarlo in ambulatorio? Da solo non ce la faccio. Questo cavallo è vostro?”

“Sì, puoi prendere il carretto qui fuori, attaccarci il cavallo e portare via entrambi. Ah, di’ a tuo padre che, se effettivamente si tratta di peste bovina e c’è pericolo di contagio, che sopprima pure il toro e anche il cavallo, tanto è vecchio e buono a nulla.”

“Va bene. Datemi una mano per favore per caricare il toro.”

(…)

“Juan, sei stato grande! Dico davvero. Anch’io però me la sono cavata bene, vero?”

“Sì Pepe. E d’ora innanzi abiterai nella mia facienda con Pedro. Sarete liberi entrambi di vivere la vostra vita come più vi aggrada.”

“Vedi Pedro? Non tutti gli umani hanno un cuore malvagio. Sono certo che Juan, anche quando diventerà uomo, non sarà mai come quelli là!”

Susy ha terminato il racconto. Lo stampa e lo infila in una busta che indirizza al marito. Un salto all’ufficio postale e… il dado è tratto.

Ora non c’è altro da fare che attendere l’arrivo della posta, che Chico legga la storia e che ne resti impressionato.

In effetti Susy non ci spera molto, ma “tentar non nuoce”, recita un antico proverbio.

Trascorre una settimana intera prima che il torero abbia il tempo di leggere il racconto della moglie. Poi…

“Susy, tieni, credo che questa roba fosse indirizzata a te. Io non so giudicare se è scritta bene e se vale la pena di segnalarla al tuo editore. Vedi un po’ tu!”

Gli occhi di Susy si velano di lacrime: “Ma che uomo ho mai sposato?”

(dal libro di Maria Grazia Sereni “Azzurre come il mare” pubblicato in marzo 2013)