LA FOCA CINERINA

 

foca cinerina

Marilena adorava le foche. Le piacevano soprattutto i loro grandi occhi dolci che parevano implorare pietà.

La ragazzina aveva insistito con la madre per essere portata a visitare uno zoo che ospitava anche qualche foca.

“Non ho mai visto una di loro da vicino. Ti prego mamma, portami una volta, una volta sola.”

“Lo sai che disapprovo gli zoo, e portarti a visitarne uno è contro la mia etica.”

“Lo so. Ma ti prego, altrimenti non avrò mai la possibilità di vedere una foca dal vivo. Eh?”

La madre si fece pensierosa: le spiaceva non accontentare la sua unica figlia. D’altra parte lei era convinta che gli animali selvatici sarebbero dovuti vivere liberi nel loro ambiente e non imprigionati in habitat innaturali, dove molti di loro non sarebbero sopravvissuti.

Infine, con un sospiro, acconsenti: “Va bene, però dovrai visitare tutte le gabbie prima di vedere le foche. Ci stai?”

“Oh sì, grazie mamma, sei un tesoro!” esultò Marilena.

E giunse il giorno fissato per la visita.

La ragazzina era eccitatissima; seguiva la madre senza smettere un attimo di chiacchierare, convinta di stare per vivere un’esperienza indimenticabile.

Come aveva ragione!

La prima gabbia che incontrarono fu quella dei babbuini. Alcuni si muovevano saltando da un albero (finto) all’altro, altri si spulciavano reciprocamente, altri ancora erano seduti con lo sguardo vuoto fisso su squarci di cielo che si intravedevano tra le varie costruzioni di cemento.

“Perché le scimmie più grosse stanno lì ferme in quel modo?”

“Perché sognano le loro foreste da cui sono state strappate, probabilmente quando erano già adulte.”

Marilena si fece pensierosa. Nella sua mente scorrevano le immagini viste in TV di un gruppo di scimmie festose che saltavano gridando da un ramo all’altro della loro foresta.

“Poverine!” mormorò prima di passare a un’altra gabbia.

Contenente un solo orso bruno con gli occhi arrossati, seduto su un tronco che osservava stranito la processione di persone che sfilavano davanti alla sua gabbia, lanciando solo qualche occhiata curiosa.

Anche la ragazzina stava per proseguire senza fermarsi, quando la madre la pregò: “Fermati un attimo. Questo orso è malato…”

“Oh poverino!” sospirò Marilena. “Che malattia ha?”

“Dai segni che posso individuare da lontano potrebbe avere la toxoplasmosi o un’infezione da nematodi, ma, per esserne certi, occorrerebbe fare delle analisi specifiche (sangue, feci). Certa sono di una cosa però: questo orso soffre di nostalgia. Sai che gli orsi percorrono enormi distanze ogni giorno. E qui invece è relegato in pochi metri quadrati. Mah…”

“Mi dispiace signora, lei si sbaglia,” affermò un signore distinto che aveva assistito al colloquio tra madre e figlia. “Io sono il direttore dello zoo e le assicuro che qui gli animali si trovano bene: sono curati e accuditi al meglio. In quanto a malattie, abbiamo veterinari che verificano spesso lo stato di salute dei nostri ospiti. Quindi la invito a essere prudente nelle sue affermazioni…”

“Anche mia madre è veterinaria e sa quello che dice,” si inalberò Marilena.

A quel punto il direttore si allontanò con sussiego senza replicare.

La visita di madre e figlia proseguì. Esse videro rinoceronti, tigri, leoni, giaguari, alligatori, ippopotami e molti altri animali, tutti con negli occhi il solito grande desiderio di libertà.

Ormai Marilena aveva perduto l’eccitazione dell’inizio e si trascinava fiaccamente dietro sua madre.

Giunsero infine in vista di un laghetto sulla cui riva riposavano stancamente cinque foche.

Al grido gioioso della ragazzina alzarono il capo, fissando i loro grandi e dolcissimi occhi in quelli di lei.

Un brivido scorse nelle membra di Marilena, non seppe neppure lei se di piacere o di compassione.

Un inserviente stava servendo il pasto alle foche che gli si erano avvicinate tutte tranne una.

“Perché quella foca non viene a mangiare?” chiese la ragazzina all’inserviente.

“Non saprei… probabilmente è indisposta,” rispose l’uomo.

Marilena guardò la madre come a chiederle: “Fai qualcosa!”

“Mi chiami il direttore dello zoo, subito per favore,” sbottò la buona signora.

“Non posso lasciare il mio lavoro, mi spiace,” replicò l’uomo.

“Allora mi indichi dove posso trovarlo, è molto urgente, glielo assicuro; e lei non si avvicini a quella foca, soprattutto se ha dei figli a casa.”

L’inserviente si affrettò a indicare dove si trovava l’ufficio del direttore. Mamma e figlia vi si recarono immediatamente.

“Guardi che una delle foche ha il morbillo. Occorre separarla dalle altre e intervenire subito con le cure. Se non fosse immune, la poverina potrebbe, infatti, morire.”

“Ma… ma noi non siamo attrezzati per questo tipo di interventi.”

“Io lavoro in una grande clinica veterinaria, la ‘Armonia’ e posso occuparmene senza problemi. Ma la decisione deve essere immediata: la foca potrebbe contagiare le sue compagne e anche gli eventuali inservienti che interagissero con lei. Allora? che decide?”

Il direttore si prese qualche minuto per considerare la situazione e quindi, con grande sollievo della veterinaria, acconsentì.

“Questo è l’indirizzo della mia clinica. Quando pensa di potermi far avere la paziente?”

“Domattina, va bene?”

“Meglio ancora oggi. Le mando io qualcuno con una gabbia adatta per il trasporto di foche. Va bene?”

“Perfetto.”

Poche ore dopo, la piccola foca era già nella struttura dove venne esaminata, curata e, nel tempo dovuto, guarita.

Marilena, quando apprese della guarigione, pregò la madre di salvare quella giovane foca.

“Se sarà rimandata nello zoo, di certo morirà di nostalgia. Non puoi fare qualcosa, eh mamma?”

“Non preoccuparti, tesoro, tenterò.”

La clinica inviò allo zoo una fattura per le cure prestate alla foca. La cifra era esorbitante.

Lo zoo rispose che non era in grado di far fronte a una spesa di quel genere e la clinica replicò che l’alternativa era di trattenere l’animale come compenso o di adire le vie legali.

Dopo qualche giorno lo zoo rispose che Armonia poteva tenersi la foca.

A quel punto Marilena e sua madre decisero di portare personalmente la foca in Danimarca dove ne vivevano altre della sua stessa specie.

E fu così che Cinerina – come Marilena aveva soprannominato la sua beniamina – ebbe la gioia di tornare nel suo ambiente naturale.

Una volta liberata sulla costa danese, Cinerina tornò verso le sue benefattrici, regalando loro un dolcissimo sguardo di gratitudine prima di tuffarsi nel suo mare profondo e senza confini.

(dal libro di Maria Grazia Sereni “Fiabe a modo mio” pubblicato in agosto 2018)