L'IRRESISTIBILE TOBY

toby e mimi

Sono un gattino giovane e non ho la più pallida idea di dove mi trovo. Mi hanno abbandonato stamattina in questo campo. Tutto è nuovo per me. Corro a perdifiato per inseguire uccellini, topolini, lucertole ma anche per scaricare il nervosismo che mi pervade.

Che cosa mi accadrà?

In lontananza noto delle case. Che ci sia anche la mia laggiù? Galoppo a più non posso finché, arrivato in prossimità del quartiere, mi accorgo che è assolutamente sconosciuto. Qui non c’è casa mia. Non vivono qui mia madre e i miei fratelli.

Non importa, qualcosa troverò.

Mi aggiro guardingo per il quartiere. Un piccolo umano si avvicina e mi accarezza.

“Grazie,” gli miagolo contento, “mi daresti un pezzetto del tuo panino? Ho tanta fame!”

Il bimbo capisce ed è generoso. Lascio il pane e mangio il ripieno finché lo stomaco non reclama più come prima.

Me ne vado libero tra le case umane. Passeggio godendomi la giornata di sole e sono moderatamente felice.

Poi, all’improvviso, una porta si spalanca, ne esce un umano che, vedendomi, si china ad accarezzarmi, mi prende per la collottola e mi introduce in una stanza.

“Sara, vieni a vedere che bel gattino ho trovato. Che ne diresti se lo tenessimo?”

“Uhm, non saprei. È impegnativo un gatto. Tu sei al lavoro tutto il giorno, io non sono a casa fino al tardo pomeriggio, sarebbe solo tutto il tempo. Non so, fammici pensare.”

“Possiamo tenerlo in casa stanotte? È ancora molto freddo là fuori.”

“Sì, va bene. Però

non siamo attrezzati. Che cosa proponi? Come possiamo fare?”

“Semplice. Vado al supermercato ad acquistare tutto. Mezzora e sono di ritorno.”

“Nel frattempo gli darò qualcosa da bere. Oltre alla lettiera e alle cassette, prendi anche qualche scatoletta di cibo per gatti, vuoi?”

“Okay. Mi raccomando, non farlo salire in camera, non vorrei facesse i suoi bisogni sul letto. Ci vediamo dopo Sara.”

Mi accomodo sul divano di fronte al quale c’è una curiosa scatola nera con un quadro di luce, dentro cui alcune figure continuano a muoversi e a parlare.

Non resisto e mi butto all’inseguimento di un gattone bianco che scende le scale per andarsi a pappare delle leccornie che, tuttavia, sono completamente senza odore. Che strano!

L’umano che mi ha raccolto è tornato con le provviste, e io consumo finalmente un pasto come si deve.

Sono molto stanco, così dormo l’intera notte sul divano finché la luce mattutina entra dalle imposte.

I due umani stanno facendo colazione. Li saluto con fusa sonore e sfregamenti di muso, poi mi dirigo verso la porta per uscire: ieri è stato molto interessante vagare per i grandi prati dietro il quartiere e oggi vorrei rifare l’esperienza, se possibile.

“No piccolo. Non puoi uscire,” mi apostrofa l’umana. “Il mattino ci sono diversi cani là fuori, è pericoloso. E poi sei appena arrivato. Devi prima prendere confidenza con l’ambiente. Quando torno a casa, nel pomeriggio, usciremo insieme. Vuoi?”

Non ho capito nulla di quello che mi è stato detto tranne il fatto che sono obbligato a restare in casa. Allora mi corico davanti alla porta e comincio a fare capriole, miagolando gentilmente: “Fatemi uscire per favore!”

Fiato sprecato.

Gli umani sono pronti per andarsene e lasciarmi solo, ma io non voglio restare in questa casa sconosciuta senza nessuno con cui giocare, parlare, interagire. Li seguo quando entrano in garage, salgo sull’auto dell’umana quando apre la portiera e parto con lei alla volta di… non so dove.

Il rumore di quella scatola infernale mi ricorda molto il giorno in cui sono stato abbandonato e, giunti a destinazione, esco miagolando indispettito.

Sento la mia amica, che evidentemente non si era accorta della mia presenza sull’auto, chiamarmi: “Micio, torna indietro, ti perderai. Torna qui micio micio.” Ma io non mi chiamo micio e non voglio tornare in quell’aggeggio rumoroso e puzzolente.

Me ne vado in giro, coda alta e narici frementi.

Incontro per primo un gatto adulto che mi squadra in gattesco e: “Sparisci dalla mia vista moscerino!”

Fuggo spaventato fino a trovarmi davanti a un giardino padronale dove un cane enorme, bianco come la neve, mi abbaia: “Vattene da qui se non vuoi assaggiare i miei morsi letali.”

Fuggo di nuovo e mi intrufolo, dopo aver attentamente annusato che non ci siano cani, in un altro giardino. Stavolta sono più fortunato, così gironzolo tranquillo inseguendo farfalle, api, mosche e balzando temerariamente su giganteschi alberi dove antipatiche cornacchie non fanno altro che avvisarmi: “Attento a te, attento a te, attento a te!”

Che bella la libertà! Ma il sole è già alto e io comincio a sentire un certo languorino che annuncia la fame vera e propria.

Mi guardo intorno, ma non scorgo nessun probabile distributore di cibo.

Che fare?

Poi vedo una micina entrare in giardino e dirigersi verso la porta di casa.

“Scusa,” le faccio avvicinandomi, “stai andando a pranzo?”

“Sì, perché me lo chiedi?”

“Sono molto affamato; potresti invitarmi?”

“Io non ho problemi. Se la mia mammy ti accetta, per me va bene. Fammi solo annusare il tuo odore.”

Lascio che si sbizzarrisca ad annusare tutto ciò che crede. In fondo sono appena stato adottato e sarebbe molto scortese da parte mia fare obiezioni.

Terminato l’esame, entriamo insieme in casa da una gattaiola. Così mi ha detto la mia amica che si chiama. Non ne avevo mai viste e neppure sentite nominare. Però sono di una comodità estrema. Non si ha bisogno che ci sia qualcuno ad aprirti e chiuderti le porte, puoi fare tutto da te. L’unico inconveniente è che può entrare chiunque. E, infatti, siamo intenti a mangiare dei croccantini da una ciotola, quando un fetore di maschio adulto invade la stanza.

“Ehi moscerino. Ti avevo detto di sparire e ora ti trovo in casa mia. Vattene subito o assaggerai i miei artigli. Avanti, fuori di qua!”

Di nuovo in fuga, con lo stomaco solo parzialmente soddisfatto.

Dopo aver messo parecchi metri tra me e la casa degli orrori, mi fermo in un altro giardino. Non sento odore di cani, solo di gatti.

E, infatti, eccone uno che avanza verso di me con la coda fremente, il pelo sollevato, camminando di sghimbescio.

Non so che fare. Me ne sto seduto in attesa. Il gatto ora è proprio di fronte a me.

“Che ci fai nel mio territorio?” mi miagola furioso.

“Non so dove andare. Mi hanno abbandonato. Ho fame e sete. Mi puoi ospitare per stanotte?”

Le mie parole lo hanno spiazzato. Noto che il pelo è tornato normale, che la coda si è fermata, così come la sua avanzata verso di me. Si accuccia sulle zampe posteriori e pensa. Vedo bene i suoi pensieri passargli veloci negli occhi.

Infine: “Vieni con me,” mi invita girandomi le spalle.

Lo seguo. Sale sul davanzale di una finestra e, con una zampa, dà dei colpetti sui vetri.

Qualche minuto più tardi la finestra viene aperta, e io seguo il mio nuovo amico in casa.

“Tilly che ci fa questo gattino con te?” grida l’umana che ci ha introdotti in casa. “Io non voglio altri animali. Tu sei più che sufficiente. Con tutto quello che ho da fare, ci mancherebbe che mi dovessi occupare anche di due gatti!”

Si avvicina a me per prendermi e buttarmi fuori, ma io scappo in cucina, dove riesco a mangiare qualche bocconcino prima che la sua mano cali sulla mia collottola.

“Mi dispiace, amico,” sento miagolare, “se lei non ti vuole, io non posso farci niente.”

Ho capito che tanti umani non ci amano – quelli che mi hanno abbandonato, per esempio –, ho capito pure che devo al più presto trovare una casa perché sono troppo giovane per arrangiarmi da solo.

Girovagando arrivo infine in un giardino pubblico.

Mi fermo a osservare i giochi dei piccoli umani seduti in cerchio. Le loro grida mi infastidiscono, ma almeno di tanto in tanto qualcuno di loro si avvicina e mi accarezza.

Non so perché, ma ho un groppo alla gola che non mi permette di miagolare.

Che cosa farò se non riuscirò a trovare un rifugio? Se mamma fosse qui con me, non mi preoccuperei, ma sono solo, tanto solo!

Poi qualcuno si rivolge a me chiamandomi “Pigi!” e mi viene incontro. Quello non è il mio nome, forse si è confuso, ma io mi lascio avvicinare e, quando l’umano si china per prendermi, mi accomodo sulle sue braccia robuste. Che sia la volta buona?

Entriamo in un garage dove un’umana sta lavorando.

“Cecilia, guarda questo micino, deve essersi perduto. L’avevo scambiato per Pigi ma, quando si è avvicinato, ho visto che non era lui.”

Io la guardo, lei mi osserva, tende le mani e io mi adagio sulle sue braccia e inizio a ronfare tutte le fusa di cui sono capace. Infilo la testa sotto la sua ascella e succhio il nettare del suo amore.

Entriamo in casa. Un numero infinito di gatti mi corre incontro per annusarmi. Io li lascio fare, al sicuro tra le braccia della mia mammy.

Mi servo degli squisiti manicaretti che sono apparecchiati in cucina, bevo avidamente da una ciotola di acqua fresca e quindi mi accingo ad annusare per bene tutti gli ambienti circostanti.

In questa casa vivono tanti gatti, è vero, ma ci sono cucce per ognuno di noi.

Mi è stato imposto il nome di Toby. È un bel nome, e ne vado molto fiero.

Tento di giocare con qualche altro gatto – ho scelto come probabili amici i più giovani –, ma sono tutti molto restii a darmi confidenza.

Non importa, gioco con gli umani che mi permettono di tanto in tanto qualche poppata dalle loro felpe. E da qui è venuto il mio soprannome di <<Ciucci>>.

Sono a casa finalmente!

(tratto dal libro "Animali, amici miei" pubblicato nel marzo 2010)