DANTE L'ELEFANTE

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Corro a perdifiato per avvisare il branco che un leopardo sta sopraggiungendo.

Elevo barriti di avvertimento che mettono in allerta le madri: nel nostro branco solo i piccoli sono a rischio.

Arrivo a corto di fiato e spiego il pericolo.

Un cerchio di adulti si forma intorno ai cuccioli, così il leopardo non può far altro che tornarsene da dove è venuto.

Ritorno quindi nel mio territorio: sono un vecchio elefante solitario – ho già sessanta anni.

I miei figli stanno tutti con le loro madri nel branco a capo del quale è stata eletta Amalia, un’elefantessa di ben ottanta anni. La sua età fa sì che sia riconosciuta come una delle più esperte.

Sento rumore di motori umani. Devo avvisare subito Amalia perché, ogni volta che ho udito quel suono, altri molto più pericolosi li hanno seguiti – parlo del fuoco dei fucili.

La mia corsa si dimostra inutile, infatti, il branco ora è circondato da auto umane da cui scendono una decina di uomini con i fucili puntati sui miei compagni.

Alcune elefantesse, seguite dai loro piccoli, hanno caricato i cacciatori, quasi distruggendo un paio di veicoli.

Gli umani allora hanno cominciato a sparare, e due delle mie compagne sono cadute nel vano tentativo di difendere i loro figli.

Gli umani si sono arrampicati sulle carcasse e hanno iniziato a tagliare loro le zanne. Dopodiché se ne sono andati, trascinando con delle funi le auto danneggiate.

Ho barrito di disgusto: ma che cosa abbiamo fatto per meritare tutto questo?

Ho barrito di dolore: perché le mie povere compagne hanno dovuto sacrificare le loro vite?

Ho barrito di rabbia: gli umani sono ormai i nemici più crudeli.

Ho barrito di collera: mi vendicherò!

Mi avvicino alle elefantesse ferite e, insieme ai figli, piangiamo la loro prossima fine.

Restiamo così – una decina tra grandi e piccini – in cerchio a lamentarci per tutta la notte e il giorno seguente, quando infine le nostre compagne abbandonano le loro sofferenze.

Poi ci allontaniamo per dar modo alle iene di fare il lavoro di pulitura.

È trascorso quasi un mese, e delle mie compagne non sono rimaste che le ossa a biancheggiare tra l’erba.

Di tanto in tanto mi reco laggiù e invio un pensiero affettuoso a quelle poverine, accarezzando con la proboscide le ossa.

Oggi ho udito di nuovo il rumore di motori umani.

A causa dell’età le mie zanne sono notevoli, così ho deciso di immolarmi per salvare i più giovani del mio branco, sperando che gli umani si accontentino di me.

Le auto sono due, si arrestano davanti a me, ne scendono quattro persone con delle strane cose al posto dei fucili. Non riesco a capire se sono pericolosi o no, poi mi dico che, essendo umani, la pericolosità è insita nella loro natura.

Così, quando essi tentano di avvicinarsi, li carico barrendo la mia rabbia che, dall’uccisione delle mie compagne, non è mai svanita.

Lampi abbaglianti escono dalle macchine che tengono in mano gli umani, ma io non sento nulla. Che si tratti di una nuova arma?

Beh, l’importante è che non vedano il branco, io sono pronto a sacrificarmi.

Gli umani, spaventati dalla mia mole furiosa, sono fuggiti, saliti sulle auto e andati prima che li raggiungessi.

Meglio così: se posso evitare la crudeltà, io sono contento!

(dal libro La fattoria dei sogni edito in luglio 2015)