IL CIRCO UMANO

le ecofavole

Ilenia e Robin videro un carro trainato da dieci uomini, carro ricoperto da un telone su cui era impressa a grandi lettere la pubblicità di un circo:

IL PIÙ GRANDE CIRCO UMANO DEL MONDO

Stettero un po’ a guardare e quindi iniziarono a chiedersi come avrebbe potuto essere un circo umano.

“Forse,” rifletté Ilenia, “è un circo dove gli animali sono trattati umanamente.”

“Uhm,” fece Robin, “secondo me si tratta invece di un circo dove gli attori sono umani, senza animali intendo.”

“Potrebbe essere anche così e, per saperlo, non dobbiamo far altro che chiedere ai nostri genitori di accompagnarci, ti pare?”

“D’accordo, stasera a cena gliene parleremo.”

Durante la cena Ilenia, dopo un’occhiata d’intesa con il fratello, se ne uscì: “Avete sentito che è arrivato un nuovo circo in città? A me piacerebbe vederlo, e a te Robin?”

“Sì, perché no?” fece il ragazzo nascondendo come poteva il suo interesse.

“Sapete di che circo si tratta?” si informò il padre.

“No. Abbiamo solo visto un carro con una scritta che parlava, mi pare, di un grande circo umano.”

“Un circo umano?” si stupì la madre.

La conversazione proseguì ancora un poco, dopodiché i genitori acconsentirono ad accompagnare i loro rampolli a vedere quel bizzarro circo.

La sera stabilita, i quattro si presentarono al botteghino per acquistare i biglietti. L’addetto era una chioccia – forse un uomo travestito – molto gentile che spiegò loro essere l’ingresso completamente gratuito.

“Si può,” aggiunse, “donare cibo o vestiario per gli attori, ma è una scelta personale e privata.”

“Ci scusi, signora, ma noi, non conoscendo la vostra organizzazione, non abbiamo portato nulla. Domani vi manderemo i ragazzi con qualche vettovaglia.”

Entrarono i nostri amici, curiosi di vedere la continuazione di quell’inizio tanto particolare.

Le loro attese non andarono deluse.

Gli spettatori erano numerosi – in prevalenza bambini –, ma erano ancora molti i posti a sedere disponibili che piano piano si riempirono.

Di lì a qualche minuto lo spettacolo iniziò.

I pagliacci erano due pinguini che mimarono una seduta dal dentista prima e una caccia ai fantasmi poi.

Il pubblico batteva le mani e rideva a più non posso.

Poi fu la volta degli acrobati: tredici libellule alle prese con evoluzioni spericolate che strapparono sospiri di sollievo quando terminarono.

Quindi vennero i trapezisti: due rinoceronti in calzamaglia che facevano cigolare pericolosamente i trapezi.

E infine venne il turno delle bestie feroci.

Un’enorme gabbia vuota si riempì dapprima del domatore – un serpente a sonagli che fece correre un lungo brivido di orrore per le schiene degli adulti – e quindi di quattro umani, due femmine e due maschi, che dovettero eseguire gli esercizi imposti, come salti da un podio all’altro, attraversamento di cerchi infuocati e buffe capriole.

Nel pubblico, soprattutto tra gli adulti ma anche tra i bambini più grandicelli, passò un moto di sdegno nel vedere degli esseri umani ridotti a prendere ordini da un pericoloso serpente.

Quando lo spettacolo terminò, non ci furono applausi, ma la gente si alzò e se ne andò criticando aspramente l’ultimo numero.

Fuori dal tendone del circo, un cartello invitava a visitare lo zoo umano, e la gente accorse.

Si entrava da una porticina alta a malapena come un uomo di media statura, si proseguiva per un corridoio con diverse gabbie vuote e si arrivava infine nello zoo vero e proprio, dove le gabbie erano popolate da esseri umani.

“Che orrore,” esclamò una signora notando una ragazza di vent’anni tristemente seduta su uno sgabello. “Buon giorno, cara,” proseguì rivolta alla ragazza, “che cosa ti è capitato? Come mai ti trovi in questo pasticcio?”

“Io ero la figlia del direttore. Ebbi la sfortuna di trovarmi con mio padre quando avvenne la rivolta degli animali. E ora eccomi qui!”

“Ma non si può fare nulla? Vuoi che vada alla polizia a denunciare il fatto? Potrebbe venire a liberarvi immediatamente,” propose la signora.

“No, la prego, non faccia nulla. Siamo in loro potere. Se qualcuno tentasse di liberarci, sono certa che ci scapperebbe il morto, o forse più di uno.”

Ilenia aveva assistito al colloquio e, con un sorriso indignato, proseguì lungo il corridoio che ospitava diverse gabbie, ognuna contenente un umano. C’erano bambini, uomini e donne adulti, ragazzi e ragazze.

A tutti la nostra amica rivolgeva qualche domanda, finché si imbatté in una ragazzina più o meno della sua età.

“Io mi chiamo Ilenia e tu?”

“Il mio nome era Dorella, ma ora mi hanno soprannominata Azzurra.”

“Sono belli entrambi, ma perché ti chiamano Azzurra?”


“L’azzurro è il mio colore preferito… e poi soffro di una malattia – la tetralogia di Fallot – che colora di blu certe zone del mio corpo.”

“Capisco. Sei curata per quella malattia? O ti trascurano.”

“Tu potresti essere mia amica, ma potresti anche non esserlo, e io… io sono indecisa… Vorrei sapere che cosa hai pensato stasera, quando hai visto lo spettacolo. Sinceramente!”

“Ho pensato che gli animali hanno tutte le ragioni di trattarvi in questo modo, non voi in particolare, ma gli esseri umani in generale. Ogni giorno per televisione sento notizie raccapriccianti. Quello che gli uomini hanno fatto e continuano a fare agli animali non è neppure degno di essere pensato. Tu mi chiederai <<ma io che cosa c’en-tro?>> E gli animali, che sono imprigionati in gabbie, sfruttati fino a perdere la capacità di reggersi sulle zampe, uccisi con i sistemi più efferati, loro che cosa c’entrano? Sono solo colpevoli di esistere, se esistere è una colpa! Scusa il mio sfogo. Vista così, ispiri fiducia. Quindi vorrei sapere in che rapporti sei con gli animali.”

“Io ho sempre amato gli animali. Parola!”

“Ti credo e quindi vorrei aiutarti, sempre che tu me lo permetta.”

“Che cosa intendi fare?”

“Stanotte io e mio fratello verremo a liberarti. Dammi solo qualche indicazione su come raggiungerti senza destare sospetti”

“No, no, non se ne fa niente. Io non desidero essere liberata. Sto portando avanti un mio progetto… com’è difficile!” mormorò Azzurra.

“Non comprendo un accidenti di quello che mi vuoi dire. Spiegati per favore.”

“Va bene. Ho deciso di fidarmi. Prima però devi impegnarti a mantenere il segreto. È essenziale!”

“Ti assicuro che non una parola uscirà dalle mie labbra, salvo che tu me ne conceda il permesso.”

“D’accordo. Noi esseri umani NON siamo prigionieri degli animali, ma ci siamo accordati con loro per mettere in scena questa commedia.”

“Ma perché?” chiese Ilenia stupita.

“Non lo comprendi? Vogliamo che la gente sappia e valuti quanto gli uomini sfruttano gli animali nei circhi, come li maltrattano, facendogli soffrire la fame, la sete e privandoli della libertà.”

“Non sarebbe bastata una campagna pubblicitaria?”

“No, gli uomini hanno bisogno di essere messi davanti a fatti tangibili per prendere coscienza della vera portata delle cose. Sei d’accordo con me?”

“Forse hai ragione, ma il vostro è un sacrificio enorme.”

“Lo dobbiamo ai nostri amici animali, affinché comprendano che non tutti gli umani sono crudeli. E poi, alla fine, è anche divertente recitare certe scene!”

“Ma dimmi, non è mai intervenuta la polizia per liberarvi?”

“Più di una volta. Ma il nostro direttore ha spiegato i veri termini della questione, e le cose si sono sempre aggiustate.”

“Azzurra, non so che cosa dire. Sento molta simpatia per te e ti ammiro per il coraggio che hai avuto e che mostri tuttora. Posso aiutarti in qualche modo?”

“Sì. Potresti consumare due pasti vegetariani per settimana? Riflettici. E, soprattutto, convinci più persone che puoi. Ogni pasto vegetariano risparmia almeno una vita animale.”

Sorrise Ilenia e: “Tutti noi in famiglia siamo vegetariani, anzi vegani, quindi questo è un favore che non posso proprio concederti!”

Attraverso le sbarre, le due ragazze si abbracciarono, promettendo di tenersi in contatto.

Era nata una cosa splendida: un’amicizia sincera!

(dal libro “Le Ecofavole” di Maria Grazia Sereni edito in luglio 2011)