LA RIBELLIONE DEL MARE

 

la ribeellione del mare

Con onde alte come quelle, il mare doveva essere proprio arrabbiato.

Dal molo due ragazzini stavano osservando quella furia liquida frangersi contro le fiancate delle navi all’ancora, e i loro occhi erano pieni di un rispetto timoroso.

“Tu conosci il motivo di tutta questa agitazione? Il motivo scientifico intendo.”

“Sì, so che i venti sono la principale causa, altre possono essere i maremoti – in quest’ultimo caso, però, le onde sono molto più alte –, le correnti marine o anche la presenza di ghiacciai.

“Quindi stavolta dovrebbe trattarsi dei venti…”

“Oppure delle correnti sottomarine. Che vuoi, ho l’impressione che il Mare stia cercando di espellere tutte le porcherie che noi umani gli scarichiamo dentro.”

“Quali porcherie, scusa? Io non vedo proprio nulla.”

“Come, non hai notato quanto scura sia diventata ultimamente l’acqua? Una volta era quasi trasparente, tanto che si poteva vedere il fondo anche dalla riva.”

“Beh, sì, è vero. Però il mare non è un essere umano: non può agire, e neppure pensare. Tanto è vero che tu stesso hai elencato le probabili cause della sua agitazione.”

“Senti, Paolo, non dare tutto per scontato. Anche le cose hanno a volte delle reazioni extra meccaniche.”

“Che cosa intendi per meccaniche, scusa?”

“Intendo reazioni causate da leggi di fisica o chimica. Ti faccio un esempio. Se metti una pentola di acqua sul fuoco e ve la lasci abbastanza a lungo, l’acqua bolle e, se prosegui nel riscaldamento, evapora completamente.

Questa è una reazione che io chiamo meccanica perché provocata da una causa materiale. Non so se mi sono spiegato.”

“Sì, sì, ho capito. Ma quali sono, secondo te, le altre cause che possono provocare reazioni nelle cose?”

“Si tratta di una teoria mia personale, ma talvolta ho potuto verificarne la veridicità. Ti faccio un altro esempio. Prova a mettere un vaso di fiori abbastanza distante dalla luce naturale. Vedrai la povera pianta intristire ogni giorno di più. Tu mi dirai: basta la luce naturale per renderla di nuovo felice. È vero, ma io ho provato anche con la musica.”

“Intendi dire che la musica rianima le piante?”

“Non so se le rianima, ho notato solo che le distende. Ho osservato le foglie di un Anthurium intristire nel colore, volgere le punte verso il suolo come per mancanza di acqua. Allora ho provato con una melodia – dal <<Lago dei Cigni>> di Tchaikowsky – e, dopo pochi minuti, ecco le foglie diventare brillanti, assumere la loro posizione originale e i fiori volgersi impercettibilmente – o almeno così è parso a me – verso la fonte del suono.”

“Beh, non avrei mai immaginato una cosa simile. Ti stai forse burlando di me, eh Giacomo?”

“Ti assicuro che è tutto vero, e del resto puoi benissimo verificare tu stesso.”

“Senti Giacomo, ma questo che cosa c’entra con il mare in burrasca?”

“Ti ho raccontato le mie esperienze per dimostrarti che possono esistere cause diverse da quelle naturali o meccaniche. E sono del tutto convinto che, in questo caso, il mare si stia finalmente ribellando.”

Paolo rimase pensieroso per qualche attimo prima di affermare: “Per me ti sbagli. Non credo che il mare abbia la sensibilità necessaria per essere contento o scontento di quanto gli accade. Semplicemente reagisce alle sollecitazioni dei venti, delle maree e quant’altro.”

“Forse hai ragione tu, Paolo. Io però sono convinto che anche il mare possa soffrire i maltrattamenti degli umani. E certe sue reazioni ne sono la prova.”

I due amici si salutarono con la mente sconvolta dalle idee che la loro discussione aveva suscitato.

Trascorse una settimana prima che si rincontrassero davanti a un mare sempre più agitato che, venti o non venti, correnti o non correnti, non dava l’impressione di volersi calmare.

“Che ne diresti di incontrarci verso mezzanotte al porto? Mi piacerebbe vedere se il mare va a dormire di notte. Pensi di potere?” chiese Paolo.

“Certo che sì. Così proveremo anche a parlargli,” rispose sorridendo Giacomo.

Scoccavano le ventiquattro quando Paolo e Giacomo si incontrarono sul solito molo.

Si salutarono scrutandosi con sguardi obliqui, ognuno nell’attesa che l’altro rompesse il silenzio.

Una risatina nervosa li scosse quando pronunciarono quasi contemporaneamente: “E allora?”

Poi Giacomo lanciò uno sguardo verso il mare aperto, sorrise a quell’enorme distesa d’acqua e sedette sul bordo della banchina, lasciando penzolare i piedi.

Paolo lo imitò senza indugio.

“Io sono convinto,” esordì Giacomo, “che il mare capisca i nostri pensieri e che, nell’immenso rispetto che nutre nei confronti di tutti gli esseri, ci abbia lasciato agire a nostro piacimento. Ora che stiamo minacciando la sopravvivenza di molti dei suoi abitanti, e anche la sua stessa, il mare ha deciso di ribellarsi. Così si spiegherebbero quei fenomeni di estrema agitazione che gli stessi scienziati hanno definito incomprensibili.”

“Queste sono solo tue supposizioni, Giacomo. Non è detto che corrispondano al vero.”

E invece è proprio tutto vero!” pronunciò il vento, o così almeno sembrò ai ragazzi.

“Chi ha parlato?” chiese Paolo con un preoccupato tremolio nella voce.

Volevate sapere la verità? La verità su quell’anomala agitazione del mare? Ebbene ora vi chiarirò tutto,” sussurrò ancora il vento.

Paolo strinse un braccio di Giacomo per essere certo di non sognare, si grattò e pizzicò il naso e infine emise un sonoro sospiro che ebbe l’effetto desiderato contro la tensione che pervadeva le sue membra.

Bene, ragazzi, questa è la situazione. Io sono Favonio, il vento caldo che scende dai rilievi. Insieme a Chelidonio e Zefiro aiuto il mare a compiere il suo lavoro. Oggi ho chiesto un giorno di riposo perché negli ultimi tempi mi sono spremuto troppo e ho perso un po’ del mio vigore. Il mare invece è talmente inviperito che non ha intenzione di parlare con nessuno, vuole solo mostrare i muscoli, non so se mi sono spiegato.”

I due ragazzi, pur ascoltando attentamente le parole del vento, osservavano se qualcuno si fosse nascosto nell’ombra per fare loro quello stupido scherzo. Nessuno.

Allora fu Giacomo a parlare: “Ci avevi promesso di chiarire i nostri dubbi.”

Hai ragione, ragazzo, ma prima mi sono voluto presentare. Ora il mare, come avete intuito, è molto arrabbiato perché ogni giorno accade un incidente – navi per il trasporto del petrolio che si squarciano lasciando fuoriuscire il loro carico, pozzi per l’estrazione, sempre di petrolio, di cui gli umani perdono il controllo –, ogni giorno vengono commessi misfatti incredibili – scarichi urbani e industriali, scarichi di pesticidi e prodotti chimici usati nell’agricoltura, scarichi degli scarti delle lavorazioni minerarie, scarichi di rifiuti radioattivi, tutto in mare. Le conseguenze, come potete ben immaginare, sono gravissime.”

“Quali?” domandarono i due amici a una voce.

“Una è dovuta ai liquami e agli scarti dell’agricoltura che favoriscono, in prossimità delle coste, la proliferazione di alghe che sottraggono ossigeno all’acqua. Molto spesso anche gli scarichi industriali provocano il calo dell’ossigeno che a volte scende sotto i limiti compatibili con la vita degli animali marini.”

“Ma stiamo scatenando un disastro!” esclamò Paolo. “E gli uomini non si sono accorti di quello che succede? Ci saranno pure degli istituti di sorveglianza o roba del genere, o no?”

“Esistono, sì, ma hanno poco impatto sull’opinione pubblica. L’unica priorità per l’essere umano è il profitto, così gli scienziati, che sono veramente preoccupati per il nostro pianeta, non hanno voce.”

“Possiamo fare qualcosa noi?” domandò Giacomo sempre più impressionato.

“Vedete, ragazzi, ognuno di voi può impegnarsi, anche se la sua attività potrebbe essere considerata una goccia nel mare. L’importante sarebbe diffondere la consapevolezza che di questo passo sarà impossibile salvare la Terra. Più persone saranno informate – io, infatti, sono convinto che spesso sia l’ignoranza la causa di tutti i mali – e maggiore sarà la possibilità di fermare la valanga.”

“Hai ragione, Favonio. Io non ne sapevo nulla. Ma d’ora in poi mi informerò per bene: in fondo questo è l’unico pianeta che abbiamo, non possiamo rovinarlo così!” esclamò Paolo con impeto.

Giacomo se ne stava zitto, immerso nel turbine dei suoi pensieri. Alla fine sbottò: “Ma ora, che cosa possiamo fare ora? Non si può tentare di calmare il mare? Ed eventualmente, come?”

“Io non lo so proprio. È arrivato a un punto tale che mi pare difficile possa retrocedere. Però potete parlargli. Se volete, ve lo chiamo.”

Ottenuto il consenso entusiastico dei ragazzi, Favonio si diresse verso il largo e cominciò a soffiare il suo discorso al mare. Parlarono a lungo i due: il vento spirando, il mare mugghiando. Alla fine del colloquio, un’onda gigantesca si avventò sul molo, dove tuttavia non si franse, ma se ne stette ritta e immobile come ingessata.

Fu Giacomo a parlare per primo.

“Salve, mare. Noi, fin da bambini, ti abbiamo sempre amato e ora abbiamo appreso cose che non immaginavamo potessero accadere. Lo so che è difficile far cambiare modo di vivere alle persone, ma noi ci incarichiamo di diffondere le notizie che abbiamo appreso da Favonio. Questo è il mio personale impegno e, credo, anche quello del mio amico qui.”

“Sì, sì,” confermò Paolo.

“Abbiamo voluto parlarti per chiederti se possiamo aiutarti in qualche altro modo.”

Grazie per le vostre parole, anche se credo che ben presto le dimenticherete.”

“No, no, ma che dici?” si inalberò Paolo, “Noi crediamo in quello che ha detto Giacomo, veramente! Non so dirti se riusciremo a ottenere risultati importanti, ma certo non dimenticheremo mai, per tutta la vita, questa sera.”

“Voglio credervi. Mi offrite il vostro aiuto, bene, ho bisogno di voi e di altri che, come voi, desiderano fare qualcosa per il loro mare. La vita che ospito sta soffrendo e, tempo pochi anni, si estinguerà del tutto. E così, come la vita è iniziata nel mare, io ospiterò anche l’estinzione della specie umana. Volete sapere come accadrà? Ebbene, quando ogni più piccolo anfratto sarà inquinato, quando i pesci e i mammiferi che ospito non saranno più in grado di alimentarsi, quando l’ossigeno contenuto nelle mie acque sarà ridotto al lumicino, che cosa farà l’uomo? perché l’inquinamento del mare si ripercuote anche sulla Terra.

Esistono però dei correttivi. Ognuno di voi potrebbe convincere i propri amici di quanto sia importante la mia salute. I vostri amici, una volta passati alla nostra causa, dovranno diffondere le stesse convinzioni, e così in una catena infinita. È l’unico modo, credetemi, per ottenere dei risultati. Oltre al comportamento, è ovvio. Non bastano le parole, servono soprattutto i fatti, tipo non gettare spazzatura nel mare, non abbandonare plastiche che, se ingerite, potrebbero provocare la morte di pesci e così via. Pensate di riuscire ad avviare una simile procedura?”

“Faremo tutto il possibile, mare, ma tu placati, ti prego. Essere tanto arrabbiato non serve né a te né a noi. Ti devi far amare, non temere!” esclamò Giacomo con una certa determinazione.

“Hai ragione, ragazzo, già il pensiero che due esseri umani – voi – mi hanno promesso il loro appoggio, mi consola e mi sento più rilassato. Vedete quanto le mie onde sono ritornate normali? E quanto sono felici i venti di potersi un poco riposare? Bene. Ci ritroveremo tra un anno per rifare il punto della situazione. Mi affido a voi,” terminò il mare ritirandosi.

I due amici se ne tornarono a casa pieni di energia: avrebbero iniziato subito la loro azione educatrice.

L’indomani, a colazione, parlarono con i genitori dell’inquinamento in generale e del mare in particolare. Non trovarono orecchi attenti a causa del poco tempo disponibile.

Si rivolsero allora ai compagni di scuola con argomenti interessanti, battute, e racconti basati sulle loro nuove nozioni. Fu un trionfo!

Decisero quindi di fondare un’associazione che si sarebbe battuta contro l’inquinamento in generale e quello marino in particolare.

Fu un enorme successo, anche se molto resta da fare per combattere i danni provocati dagli interessi economici che i nostri simili mettono in cima alla loro lista di priorità.

dal libro “Le Ecofavole” di Maria Grazia Sereni edito in luglio 2011)