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IL RACCONTO DI LALLIE

 

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Oggi il mio amico Marco non è rimasto a giocare con me. Stamane mi ha salutato e se ne è andato. L’ho rincorso, lui si è fermato e mi ha detto: “Aspettami Lallie. Sarò di ritorno fra un paio d’ore, dopo potremo giocare. Oggi è il primo giorno di scuola, per questo sono impegnato solo due ore. Da domani potremo stare insieme solo il pomeriggio, purtroppo.”

Io, se devo essere sincero, non ho capito gran che di quel discorso, ma me ne torno in casa e aspetto come mi è stato detto di fare.

Che noia le ore del mattino senza il mio amico! Cerco di rincorrere qualsiasi cosa si muova, ma non è divertente se Marco non è con me.

Finalmente eccolo di nuovo a casa. Mi arrampico sui suoi jeans, lui mi stringe tra le braccia, mi bacia sul muso, mi gratta la gola, la pancia, e io sono felice.

“Come farò a trascorrere tutte le prossime mattine senza te?” gli miagolo in un sussurro. Ma lui non risponde, perso com’è in tante altre attività che non mi comprendono.

Trascorre così un’intera settimana con le mattine vuote e i pomeriggi part-time.

Pur essendo la stagione ancora estiva, mi sono adeguato alla mia nuova vita inserendo lunghi periodi di sonno durante le mattinate solitarie. Ma non posso sempre dormire, anche perché, una volta sveglio, mi sento colmo di energia che non riesco più a scaricare come una volta, quando Marco era a tempo pieno il mio compagno di giochi.

Un altro mese se ne va sul calendario, ma io non resisto più. Voglio proprio vedere dove sparisce Marco tutte le mattine, così ho deciso che domani lo seguirò e resterò ad aspettarlo nel caso dovesse entrare in qualche edificio a me sconosciuto.

“Che cosa ci fai oggi a casa?” miagolo al mio amico quando lo vedo poltrire nel letto.

“Vieni Lallie,” mi fa lui. “Vieni a farmi compagnia. Oggi non vado a scuola perché è domenica.”

“Allora voglio che sia domenica tutti i giorni,” gli rispondo sistemandomi sotto le coperte.

Trascorriamo una giornata magnifica, e il mio proposito di seguire Marco a scuola mi esce di mente insieme al disagio della solitudine.

Non ho ancora ben capito come si susseguano i giorni della settimana, così sono spiacevolmente sorpreso quando l’indomani Marco esce presto per andare a scuola.

“Non vale! Dovevi avvertirmi!” gli miagolo indispettito.

Non mi sono preparato a quell’evenienza, così resto di malumore ad aspettare il ritorno del mio amico. Domani però non mi lascerò sfuggire l’occasione di indagare sul mistero che ha sconvolto la mia vita.

La sera prima di domani non riesco a riposare: sono agitato, ogni fibra del mio corpo è tesa e nella mia mente mulinano a più non posso centinaia di pensieri frammentati e inconcludenti.

Poi, ecco, spunta il mattino. Mi stiracchio ben bene e, quando Marco esce da casa, lo seguo cercando di non farmi notare.

Purtroppo però il mio amico, dopo cinque minuti di cammino, sale su un catorcio giallo dove non riesco a infilarmi. E allora corro al massimo delle mie possibilità per non perdere di vista il coso che mi ha rubato l’unico essere al mondo che io ami.

Non so come ho fatto, ma sono riuscito a restare in contatto visivo con il verme giallo che ora si ferma.

Ne scende Marco in mezzo a tanti altri ragazzini. Insieme si infilano in un portone che dopo un po’ si chiude, lasciandomi solo ad aspettare.

Avendo molto tempo per pensare, ho capito che, se voglio evitarmi la corsa dell’andata, devo salire sul coso giallo prima dei ragazzi e nascondermi da qualche parte.

Le ore solitarie sono lunghe, così decido di fare un giretto in qualche giardino dove inseguo un uccello, una farfalla, una cavalletta – sono le più simpatiche perché fanno salti lunghissimi e sono sempre in movimento – e dove purtroppo incontro anche un cane che non è assolutamente d’accordo sulla mia presenza.

Visito altri orti con alterne fortune poi, nel timore di perdere l’appuntamento con il destino, mi rimetto ad aspettare l’uscita di Marco.

Non vedo però cosi gialli nelle vicinanze, solo un paio di cosi blu. Non so che cosa fare. Salire su uno di questi? Ma quale? Meglio attendere il mio amico e, se non riuscirò a infilarmi al suo seguito, lo inseguirò come all’andata.

A un tratto il portone della scuola si apre, centinaia di ragazzini urlanti si riversano in strada e io devo scansarmi per evitare di essere travolto.

Noto gli indiavolati salire sui cosi blu, ma non vedo il mio Marco. E quindi aspetto, nascosto tra l’erba di un giardino proprio di fronte alla scuola.

Mi pare che sia passato un secolo quando infine vedo il mio amico in compagnia di una ragazzina. Stanno parlando fitto fitto e, quando uno dei cosi blu si mette a strombazzare, con una corsa leggera salgono e mi piantano in asso.

Di nuovo l’impegno spasmodico per non perdere contatto con il mezzo che si ferma parecchie volte prima che Marco ne scenda.

Ma questa non è casa nostra!

Sono quasi spompato, ho la lingua che mi pende come quella dei cani, ciononostante seguo il mio amico a distanza mentre lui discorre tutto il tempo con quella smorfiosa.

Ah, ho capito! Ha accompagnato a casa la sua amichetta. E ora? Come farà a ritornare? Prenderà un altro coso blu?

Come evocato da un incantesimo, accanto a me si ferma un coso giallo. Le porte si aprono e io salgo con un balzo acrobatico. Sono felice che nessuno mi abbia notato, però Marco non è salito e io vengo trascinato lontano da lui che se ne sta andando lentamente a piedi.

Perché non l’ho aspettato? Dove mi porterà questo maledetto coso giallo? Come devo fare per scendere? Ci sono delle finestrelle aperte, ma per arrivarci devo arrampicarmi su qualche sedile, balzare sul vetro aperto e poi buttarmi di sotto. No, no, forse è meglio accettare quello che mi proporrà il destino.

Dopo un tempo infinito, le porte si aprono di nuovo e io scendo cercando di riordinare le mie linee guida.

Non so più dove sono.

Mi guardo intorno. Da un lato un fossato con acqua, poi un marciapiede, la strada, un altro fossato: sono perduto!

Mi siedo in attesa che il mio destino si compia. Mai più Marco, mai più giochi sfrenati, teneri abbracci! Che pasticcione sono!

Passa un ragazzino in bicicletta, si ferma, mi accarezza: “Ciao bel micino. Che cosa fai qui tutto solo?”

Poi se ne va.

Ho fame, ho sete, ho bisogno d’amore e invece sono solo, solo e sperduto.

Passano due umani, un uomo e una donna, si fermano, mi accarezzano. Io mi struscio sulle loro gambe. L’umana femmina mi prende tra le braccia, mi porta via con sé. Saliamo su un coso grigio. Io me ne sto zitto zitto. Che mi portino dal mio Marco? Speriamo.

E invece giungiamo in una casa, dove posso finalmente mangiare a volontà.

Quanti gatti! Eh, ma che brutto carattere! Nessuno vuole giocare con me? Va beh, mi riposerò un poco su una poltrona.

È sera. Chissà il mio Marco come mi avrà cercato, chiamato. Chissà quanti giri avrà fatto intorno a casa per vedere se mi ero nascosto in qualche posto. E io invece qui, in questa casa sconosciuta dove, se devo essere sincero, non si sta poi tanto male. Vedremo domani.

La notte è densa di sogni a occhi aperti e chiusi, sogni di felicità perdute e di nuove delizie. Vedremo, vedremo.

Oggi ho un nuovo amico. Si chiama Toby ed è un micetto con tanta voglia di giocare. Abbiamo già misurato le nostre forze, ci siamo già rincorsi, mordicchiati, battuti. Abbiamo già danzato la danza dei lottatori e ora siamo coricati sul divano, abbracciati ed esausti.

Marco è ormai lontano, tenero abitante della mia vita passata.

(tratto dal libro “Animali, amici miei” pubblicato nel marzo 2010)