SAMMY

sammy

Ed ecco il tramonto con le sue lunghe lame d’ombra dopo una giornata comune.

“Se continua così, non è andata male oggi!” penso rilassata.

La luce elettrica inonda la cucina, banco di prova per nuove ricette di antipasti, la mia ultima sfida.

Il telefono si intromette impellente nel flusso dei pensieri.

“Ciao cara,” si propone mio marito, “abbiamo un problema. Sono stato informato che davanti al negozio c’è un gatto ferito. Sembra che stia in un cartone da ormai tre giorni. Le commesse non sono riuscite ad avvicinarlo a causa della sua aggressività. Vuoi telefonare al nostro veterinario perché lo vada a prendere? Poi ci consiglierà lui cosa fare ...”

“Sì, d’accordo. Ma questo che cosa significa? che dopo dobbiamo tenerlo noi?” chiedo ansiosa.

“No, no! Io ho già chiarito che non ci possiamo far carico di tutti i gatti del mondo! Le ragazze sono state molto disponibili: hanno promesso che

si daranno da fare per trovargli una sistemazione,” conclude mesto mio marito.

“Immagino!” ironizzo.

“È sempre la medesima storia! Ti sottopongono i problemi, promettendo che si interesseranno, che parteciperanno e ...non so più che altro, poi invece ti ritrovi solo a grattarti i tuoi pruriti!” penso amareggiata.

Ora però l’emergenza ha la priorità su tutto, così mi lancio a capofitto in cerca di una soluzione. Che sembra non sia per nulla agevole.

Dopo miriadi di telefonate e preghiere e promesse, finalmente riesco a sistemare ogni tessera del mosaico.

Quando solo l’attesa è rimasta a farmi compagnia, mi accascio su una poltrona con la gola stretta dall’ansia. Non so che fare, anzi avrei migliaia di cose da fare, ma non riesco a dedicarmi a nulla. La mia mente è concentrata sugli ultimi avvenimenti. Alla fine, non potendo sopportare oltre il peso delle preoccupazioni, mi sgranocchio una fetta di torta.

“Domani, ” spero, “sarà uno scherzo sbrogliare i nodi!”

E infine arriva la notizia che il gatto è felicemente approdato nello studio veterinario.

“Ho bisogno di radiografie per una diagnosi esatta, ma da un primo esame sembra che entrambe le zampe posteriori siano fratturate. Se ne avrò conferma, l’intervento è programmato per domattina. Stai tranquilla, faremo del nostro meglio.”

Ed ecco il mattino sorridere sornione tra le imposte accostate. Mi sveglio con l’ansia come compagna, ansia che non mi ha abbandonata neppure durante il sonno.

Quattro faccende sbrigate alla meno peggio ed eccomi nell’ambulatorio.

“La situazione è più complicata di come immaginavo,” risponde il veterinario alla mia muta richiesta.

“Queste sono le lastre. Vedi, il gatto ha i due femori fratturati in più punti. Non so se riuscirò a salvargli entrambe le zampe: la destra è particolarmente danneggiata a livello sia osseo che dermico. Figurati che ieri sera, dopo averlo visitato, ho dovuto liberargliela da centinaia di camole che ne stavano divorando i tessuti!”

Per un attimo mi sento perduta: il micio mi guarda con occhi sbarrati dal terrore, o forse dalla sofferenza, e io mi sento impotente, completamente impotente. Lascio correre le solite domande retoriche sul perché del dolore nel mondo e cerco di essere concreta: “So che il gatto è in ottime mani. Da parte mia farò il tifo per lui!”

Torno a casa, un ritorno mesto e nello stesso tempo fiducioso. Non voglio pescare presagi nell’accozzaglia di sentimenti che mi turbinano nella mente. Vorrei solo che il tempo scorresse veloce per giungere il più in fretta possibile alla telefonata liberatoria. E invece devo attendere fino alle due del pomeriggio per avere notizie.

“Ho terminato adesso l’intervento,” mi informa il veterinario, “che è stato più lungo del previsto a causa di diversi frammenti ossei da recuperare. In ogni modo per ora la zampa destra è salva. Vedremo più avanti come reagirà.”

“Grazie!” mormoro appena e, dopo aver chiuso la comunicazione, mi dedico a una gioiosa tarantella.

“Ce la farà! Ne sono certa,” penso tra me e me, sorridendo alla mia immagine riflessa nello specchio.

Sammy, il nome che quel musetto nero e disperato mi ha suggerito, è un gatto selvatico: non ama la vicinanza degli umani e lo dimostra con brontolii e ruggiti per nulla amichevoli. Io non mi impressiono e vado a trovarlo tutti i giorni per un intero mese.

“Che ne diresti se lo portassi a casa e continuassi a curarlo là?” propongo un giorno al veterinario. “Sai, mi dispiace vederlo chiuso in gabbia, dopo tutto quello che ha subito...”

“Sì, non ci sono problemi. Sai però che ha bisogno di tre medicazioni la settimana, e quindi dovrai venire in ambulatorio.”

“Bene, lo farò,” affermo stoicamente, consapevole di quanto tempo sprecato in attese mi costerà la mia decisione.

Così Sammy entra a far parte della famiglia.

Ora, anziché prigioniero in una gabbia, il micio si trova recluso in una stanza (l’infermeria): è un piccolo miglioramento, lo so, ma conto di trasferirlo in casa appena si sarà rimesso.

Sammy è un soggetto difficile a causa della sua angosciosa paura e anche, perché no, della sua apparente aggressività. Tuttavia, la pazienza è una delle mie doti migliori e, in capo a qualche settimana, il micio ha preso confidenza con me, mentre continua a essere ancora timoroso nei confronti degli estranei.

“Ha avuto una bella fortuna questo gatto!” dichiara un giorno il veterinario durante una medicazione.

“Fortuna?” mi inalbero. “È stato investito da un’auto, abbandonato e trascurato per tre giorni, divorato dalle camole, operato, medicato per due mesi. Sì è vero, è ancora vivo, ma non si può certo affermare che sia stato favorito dalla sorte!”

“Ma come,” interloquisce il veterinario, “allora non lo sai? Quando andai a prenderlo, le commesse del negozio mi dissero che il medico della ASL sarebbe arrivato di lì a poco e avrebbe prelevato Sammy per praticargli l’eutanasia: dalle notizie telefoniche, infatti, era stato giudicato un caso disperato! Fortunatamente sono arrivato prima io...”

“Non ne sapevo nulla!” esclamo sbalordita. “La fortuna lo ha già assistito due volte: la prima evitando di farlo perire nell’incidente, la seconda salvandogli entrambe le zampe; speriamo che la terza conceda al mio magnifico orsacchiotto una lunga e serena vita in casa mia!”

(tratto dal libro "Cronache Feline" pubblicato nel maggio 2008)