MALATTIA DI ALZHEIMER

 

alzheimer

Già vent’anni prima della manifestazione clinica della malattia di Alzheimer, cioè della comparsa di demenza, inizia ad accumularsi nel cervello una proteina, la beta-amiloide, che innesca una serie di reazioni che portano infine alla perdita delle cellule nervose e dei loro collegamenti.

I fattori di rischio per le patologie vascolari (ipertensione, diabete, obesità, fumo, scarsa attività fisica) contribuiscono a un rischio maggiore di sviluppare l’Alzheimer e si è dimostrato che il danno vascolare, oltre a determinare nel cervello lesioni ischemiche o emorragiche, può facilitare l’accumulo di amiloide nello stesso.

I sintomi premonitori sono deficit di memoria, soprattutto quella recente, e successivamente disturbi di linguaggio, perdita di orientamento spaziale, temporale e di autonomia nelle funzioni della vita quotidiana. A ciò spesso si associano anche problemi psicologici e comportamentali quali depressione, incontinenza emotiva, agitazione, vagabondaggio.

A oggi esistono solo farmaci atti a mitigare tali sintomi che, tuttavia, non hanno alcun impatto sulla progressiva evoluzione della demenza, una volta che questa si è manifestata.

Gli esami che possono diagnosticare la malattia in una fase molto precoce sono, innanzitutto un’accurata valutazione neuropsicologica e una risonanza magnetica. Inoltre, poiché la beta-amiloide inizia ad accumularsi nel cervello decenni prima delle manifestazioni cliniche della malattia, è possibile evidenziarla tramite una PET con tracciante o ancora analizzare i livelli di beta-amiloide nel liquido cerebrospinale mediante una puntura lombare.

Le sperimentazioni cliniche attuali sono rivolte alla prevenzione in soggetti con declino cognitivo lieve e basate su molecole che determinano una riduzione della produzione di beta-amiloide con farmaci che bloccano gli enzimi che la producono o, in alternativa, con anticorpi capaci di determinare la progressiva scomparsa di beta-amiloide già presente nel tessuto cerebrale. Alcuni anticorpi hanno già dimostrato un’efficacia su questa categoria di pazienti e si prevede che possano essere commercializzati nei prossimi due anni.

(intervista al prof. Carlo Ferrarese, direttore scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano – Università Milano Bicocca – e direttore Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza))