DOV'E' IL CIBO?

 

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Si guardò intorno, entrò furtiva nella tana, si girò e si affacciò all’apertura per controllare di nuovo che non ci fossero presenze estranee, quindi, con un sospiro si adagiò sul suolo ricoperto di erba soffice e iniziò a spingere.

Uno, due, tre, quattro volpacchiotti si agitarono ai suoi piedi: erano splendidi.

Valentina iniziò a leccarli e, quando furono tutti perfettamente puliti, li spinse verso le mammelle per la prima poppata.

Valerio arrivò proprio in quel momento, guardò la scena con interesse e depositò ai piedi della sua amata un ratto.

“Per te, Valentina, devi essere in forze per allattare i nostri piccoli. Stasera, con il buio, riuscirò a fare di meglio. Ora mi metto davanti alla tana per evitare che qualcuno ti disturbi. Stai tranquilla, nessuno oltrepasserà questa soglia.”

Mamma volpe sospirò: quando Valerio era accanto a lei, tutto le pareva semplice.

Le giornate avevano tutte il medesimo svolgimento: durante l’allattamento, Valerio era di guardia, quando invece Valentina era libera, lui se ne andava a caccia.

In quel periodo le prede erano abbondanti, tanto che papà volpe decise di sotterrare ciò che non era possibile mangiare (lo stomaco delle volpi è piccolo rispetto al corpo e quindi esse non possono alimentarsi con abbondanza come fanno, ad esempio, i cani).

Valerio scavò buche di quindici/venti centimetri di profondità in diversi luoghi, per evitare, in caso qualche altro animale avesse scoperto il cibo, di restare completamente senza.

Trascorsero così una ventina di giorni. I volpacchiotti crescevano, poppavano, giocavano tra di loro sotto gli occhi attenti di papà e mamma.

Ma un brutto giorno…

Era mattina quando Valerio udì in lontananza un latrare di cani condotti da umani. I peli si rizzarono sulla sua nuca: sapeva che questo significava un pericolo per loro ma soprattutto per i cuccioli che non potevano certo essere veloci come i genitori.

Entrambi questi ultimi presero tra le fauci i loro piccoli e corsero a perdifiato per cercare un luogo più sicuro dove nasconderli.

Arrivarono così in un campo di mais. I fusti delle piante erano talmente vicini che a malapena lasciavano passare i nostri eroi e, fortunatamente, nascosto sotto un albero caduto e lasciato marcire sul posto, essi trovarono un tronco cavo dove poterono sistemare i piccoli.

“Non possiamo restare anche noi, i cani sentirebbero il nostro odore e troverebbero subito anche la nuova tana,” lamentò Valerio.

“Ma io non mi sento di lasciare soli i cuccioli…” pianse Valentina.

“Facciamo in questo modo: copriamo l’uscita della tana con degli arbusti, in modo che i piccoli non possano uscire e noi saremo liberi di andare a confondere le idee dei cani. Che ne dici?” propose Valerio.

Non era molto convinta mamma volpe, ma comprese che quello era l’unico modo per cercare di salvare i suoi cuccioli, così acconsentì.

Terminato il lavoro, e raccomandato ai figli di non uscire da quel luogo per nessun motivo, i due corsero lontano in direzioni opposte, di modo che, se uno dei due fosse stato catturato, l’altro si sarebbe potuto prendere cura dei piccoli.

I cani erano ormai vicini, così come i cacciatori, e Valentina era spossata per la corsa, ma il pensiero delle vite che dipendevano da lei le diede le energie necessarie per mettersi in salvo su un fienile abbandonato.

Sotto, i cani abbaiavano come ossessi, ma i cacciatori, giunti sul luogo una decina di minuti dopo, li strattonarono via, pensando che avessero seguito le tracce di qualche gatto (i fienili, infatti, sono un habitat ideale per i gatti selvatici).

Valerio fu più fortunato perché i cani avevano seguito le tracce di Valentina e quindi lui si era potuto allontanare indisturbato.

Scese la notte, cani e cacciatori si erano ormai dileguati da un pezzo, quando i nostri amici si incontrarono davanti alla tana dove avevano abbandonato i piccoli. Li fecero uscire, li leccarono amorevolmente e li portarono in un’altra tana, accanto a quella precedente, ma su un piccolo pianoro sopraelevato da dove era più facile fuggire in caso di necessità.

“Vado a prendere qualcosa da mangiare,” si offrì Valerio. “Aspettami qui.”

Andò, cacciò un serpentello mezzo assopito in riva a un ruscello e lo portò alla tana, poi ripartì per dissotterrare altre provviste: era stanco anche lui dopo l’avventura in cui aveva rischiato di perdere la sua compagna.

Ma quale fu il suo raccapriccio, quando constatò che tutte le buche, dove aveva sotterrato il cibo, erano malinconicamente e definitivamente vuote.

“E ora? Non posso cacciare tutta notte, e poi sono preoccupato per i miei cari. Dopo una giornata come questa, se dovesse succedere qualcosa di grave, digiuni e stanchi come siamo, noi non avremmo la forza di reagire.”

Pensò per qualche attimo il nostro Valerio e poi si diresse verso la tana di Hercule Volpot che pregò di assisterlo nel trovare prima un po’ di prede e poi il maledetto ladro che gli aveva sottratto tutto il cibo tenuto in serbo per occasione come quelle.