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L'ORCO DAL CUORE D'ORO

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Martedì, 11 Aprile 2017 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

      

orco

C’era una volta un orco di nome Brunone che viveva in una casa al centro di un bosco fittissimo.

Da poco più di un anno il Nostro aveva abbandonato la famiglia di origine per prendere moglie, una bella orchessa bruna di nome Belinda.

Il loro sarebbe potuto essere un matrimonio felice se non fosse stato per Belinda che disapprovava il marito, quando quest’ultimo tornava a casa con un bambino o qualche altro animaletto da sgranocchiare.

Per convincerlo a smettere quelle pratiche barbare, l’orchessa preparava spesso degli ottimi minestroni di verdura, ma lui non si sentiva sazio, neppure dopo averne mangiato un paiolo intero.

L‘orco era stato abituato dai suoi genitori alla carne di bimbo, e giovane per di più. Infatti, il nostro Brunone era figlio unico, e tutti i migliori bocconi erano per lui.

“Ma,” vi chiederete, “come mai al mondo sopravvivono ancora dei bimbi? Con tutti gli orchi che esistono e che si nutrono in prevalenza di carne umana, i bimbi dovrebbero essere esauriti.”

Beh, sapete, gli orchi non sempre trovano pane, pardon, carne per i loro denti. A volte i bimbi sono molto ben sorvegliati, e allora quei golosoni si accontentano di un puledro, di un agnellino, di un capretto e, quando proprio gli va male, pure di un qualsiasi volatile (galline, anatre, oche, fagiani o persino pavoni).

Orbene, Brunone trascorreva giorni davvero tristi, sempre in bilico tra la voglia pazza di un giovane umano – o di un altro animale – e il timore di dispiacere alla sua bellissima e amatissima moglie.

Lei, infatti, gli propinava dei discorsi molto difficili da digerire, tipo: “Che ti ha mai fatto quel piccolo innocente perché tu gli tolga il piacere di vivere la sua vita?” oppure: “Perché creare tanta infelicità – nella tua vittima e anche nella sua famiglia –, quando potresti benissimo nutrirti di vegetali?”

Il nostro Brunone non viveva più per i rimorsi. Infatti, quelle poche volte che si accingeva ad addentare un bimbo, un capretto o un maialino, lo guardava negli occhi, ascoltava il suo pianto disperato e spesso, sempre più spesso, lo lasciava tornare a casa, o meglio, lo rimetteva lui stesso dove lo aveva trovato.

L’orco era assai dimagrito; era infelice, depresso, tanto che, a volte, pensava persino di mettere fine ai suoi giorni con un gesto disperato.

Poi avvenne che Belinda desse alla luce undici piccoli orchi che diventarono la consolazione del loro papà.

“Vedi, caro,” diceva di tanto in tanto la moglie al marito, “che cosa diresti se un tuo collega venisse a rapirci i nostri figli per mangiarseli?”

“Lo ucciderei con queste mani!” esclamava allora Brunone che si guardava poi allo specchio senza riconoscersi.

Una sera il nostro amico orco, rincasando dopo una giornata di duro lavoro nel bosco, trovò la tavola imbandita con un arrosto di seitan fumante e, soprattutto, enorme.

Si lavò in fretta e furia, si sedette al suo posto, impugnò coltello e forchetta e, con una luce golosa negli occhi, tagliò dieci grosse fette del fumante arrosto che finirono al più presto nel suo stomaco.

Era felice il nostro eroe, convinto di mangiare carne. Così si fece trovare impreparato quando, finito l’arrosto, la moglie gli chiese: ”Allora, ti è piaciuto?”

“Sì,” bofonchiò Brunone masticando gli ultimi pezzetti dell'unica fetta superstite, “ma che carne è? Ha un sapore completamente nuovo.”

“Si tratta di una carne vegetale…” sorrise Belinda.

“Coome? Mi hai fatto mangiare della carne vegetale? E senza dirmi nulla?”

“Certo! Volevo sapere se era di tuo gradimento, e mi pare proprio che lo sia stata, o no?”

“Sì, sì, però… insomma io vorrei essere informato prima di mangiare delle cose così…”

“Via, caro, quando ti sarai abituato alla nuova alimentazione, ti assicuro che non riuscirai più a tornare alle vecchie abitudini, credimi.”

“Se lo dici tu!” esclamò l’orco poco convinto.

Dopo quel primo assaggio, la moglie si sbizzarrì in ricette sempre più complicate ma molto saporite che, in breve, fecero dimenticare a Brunone che si trattava di cibi completamente vegetali.

Un giorno i genitori dell’orco invitarono a pranzo la famigliola al completo.

La tavola era imbandita con una tovaglia a quadretti bianca e verde su cui riposavano piatti di carne – soprattutto umana – arrosto, in salsa, ai ferri, insomma in tante preparazioni diverse.

Brunone lanciò un’occhiata alla moglie e ai figli che stavano seduti davanti a quell’enorme quantità di roba con una buffa espressione.

“Mi spiace, noi siamo vegani… non avreste della verdura per favore?” balbettò Belinda.

“Vegani?” si stupì nonna orchessa, “anche tu Brunone?” chiese al figlio.

“Beh, sì, però… non so, io assaggio…” fece il nostro eroe, allungando una mano e portando alla bocca una gamba arrostita di un tenero bebè.

Era convinto di mangiare una gran prelibatezza Brunone, e invece il sapore gli era ormai estraneo, quasi ripugnante e, soprattutto, la coscienza gli rimordeva pensando al dolore che si nascondeva dietro quel piatto.

Così: “Sì,” rispose, “anch’io sono diventato vegano e crescerò pure i miei figli in questo modo!”

Il pranzo terminò nella più completa insoddisfazione, sia dei nonni sia di Brunone, che si accomiatò molto dispiaciuto di aver deluso i genitori.

Una volta a casa, l’orco si sentì meglio.

Si lasciò cadere su una poltrona, mentre i figli gli danzavano intorno cantando: “Giro girotondo, il nostro è il miglior papà del mondo.”

La moglie gli si sedette accanto, lo abbracciò e: “Sei un orco molto sensibile, Brunone, non mi sono sbagliata a sceglierti tra tanti altri…”

L’anno successivo la nostra famigliola crebbe di ben undici unità, tutte rigorosamente vegane.

(dal libro "Le Ecofavole" pubblicato in luglio 2011)