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INCOMPRENSIONE

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Venerdì, 22 Dicembre 2017 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

 

incomprensioni

“Ehi, Ale, ti va di venire a casa mia oggi? Devo preparare l’interrogazione di fisica e ho bisogno che qualcuno mi aiuti.”

“… Okay. A che ora?”

“Verso le tre ti va bene?”

“… sì.”

“Cosa c’è? perché mi rispondi a monosillabi? ”

“Ma… niente… niente.”

“Dai, Ale, si vede lontano un miglio che hai la luna di storto. Ti è successo qualcosa?”

“Ho… ho litigato con mio padre ieri sera…”

“Ancora per il concerto?”

“No, no… per quello ho avuto il permesso. È …insomma lui insiste perché io faccia legge.”

“E allora? lo sai da una vita che tuo padre ti vuole inserire nel suo studio. Ma se tu non te la senti, glielo devi dire chiaro e tondo.”

“Non è che non me la senta, forse mi piacerebbe anche, ma è il tono, capisci?”

“E tu fregatene del tono. Scusa eh, se vuoi diventare avvocato, fallo, altrimenti scegli un’altra facoltà: non sei obbligato a fare quello che vuole tuo padre. Io, per esempio, una volta ho litigato con mia madre perché lei voleva che mettessi un maglione che mi aveva regalato sua sorella. A me faceva proprio schifo: figurati uno di quei cardigan blu da vecchi bacucchi. Io mi sono rifiutato e lei si è offesa. Allora le ho detto: - Scusa, ma’, te la sentiresti di mettere una minigonna alla tua età solo perché magari te l’ho regalata io? - Lei, devo dire, ha capito e tutto è finito lì.”

“Fortunato tu! La mia famiglia è molto diversa dalla tua. Mia madre, lo sai, vorrebbe che io facessi medicina ed è tutta una discussione con mio padre che non è d’accordo con lei. Quando poi io le dico che a me medicina non piace, che mi fa schifo qualsiasi tipo di ferita e che mi sento svenire a vedere una goccia di sangue, lei mi fa l’offesa e non mi parla per giorni. Mio padre invece, che si sente il capo della famiglia, mi ha in pratica imposto legge: - Ho un’attività già avviata, - mi ripete in continuazione, - che dà un reddito discreto, voglio che te ne occupi tu! - Vedi, Lele, a me legge potrebbe anche interessare ma, per il solo fatto che sono obbligato a prendere quella facoltà, io reagisco ribellandomi. Così ieri sera, dopo l’ennesimo litigio, mio padre mi ha mollato un ceffone. È la prima volta che succede, e ora io sono profondamente deluso e offeso. Deluso perché vorrei che i miei genitori, che si presume siano adulti maturi, comprendessero che il futuro è mio e che sarebbe giusto potessi fare ciò che desidero. Offeso perché, quando esiste un disaccordo tra persone di famiglia, mi sembrerebbe opportuno discuterne pacatamente e decidere tutti insieme: tre pareri sono sempre meglio di uno solo, non ti pare? E poi penso a te e alla tua famiglia. Tu non hai mai avuto contrasti seri con i tuoi genitori, vero?”

“Li ho avuti, li ho avuti anch’io! Però nessuno di loro mi ha mai imposto niente. Fin da bambino sono stato abituato ad avere opinioni mie, anche se differivano da quelle degli adulti. I miei genitori mi sono sempre stati vicini, hanno condiviso con me giochi, letture, dolori e gioie infantili, insomma io li considero quasi persone estranee ma amiche, alle quali posso confidare tutto senza timore di essere giudicato in base alla loro personale convenienza. Tra l’altro non abbiamo ancora preso in considerazione la facoltà che sceglierò nel caso volessi continuare gli studi, anche perché ho solo quattordici anni, e il tempo per una decisione non manca di certo.”

“Quanto ti invidio! Da bambino, quando desideravo che mamma o papà mi leggesse una fiaba prima di dormire, o condividesse con me le cose che faticosamente imparavo, nessuno dei due era mai disponibile.

- Domani, caro, domani, oggi non ho proprio tempo. Chiedi a tua sorella.

Questa era la solita risposta. Poi andavo da mia sorella e le spiegavo: - Mamma ha detto che devi leggermi questa fiaba. – Oppure: - Papà ha detto che devi aiutarmi con i compiti. O altre cose del genere. Allora quella bastarda sai che cosa mi diceva? - Sparisci e non venire a rompermi con le tue stupidaggini!

Così mi sono sempre arrangiato da solo. E ora, ogni volta che uno dei miei genitori mi ordina di fare una cosa, mi monta in corpo una rabbia che fatico a non diventare violento. Quindi loro si lamentano che io non sono disponibile – cosa assolutamente vera –, ma mai una volta che si siano chiesti il perché.”

“Sei proprio giù oggi, eh Ale? Senti un po’: se vuoi, posso parlare con mia madre e chiederle di ascoltare i tuoi problemi. Sai che lei lavora come assistente sociale, quindi aiutare le persone, è proprio la sua specialità... Allora?”

“Grazie Lele, è meglio di no…”

“Perché no, scusa?”

“Eh…mi vergogno…”

“Non fare lo scemo! Perché dovresti vergognarti? Non sei tu in difetto, tu sei cresciuto con dei problemi causati dal comportamento dei tuoi genitori. E dai…”

“… Okay, però dille che se mi stufo di starla a sentire, lei non si deve offendere.”

“Va bene. Ci vediamo più tardi. Ciao.”

Casa di Gabriele, pomeriggio ore quindici e trenta. Alessandro è seduto in cucina davanti a una bibita e sta parlando con la madre di Lele. Quest’ultimo è nella sua stanza a preparare i compiti.

“Caro Alessandro, non devi incolpare i tuoi genitori per la situazione che si è creata. A volte caratteri forti si scontrano in continuazione perché nessuno è disposto a cedere.”

“Sì, però… i miei genitori dicono che io sono disubbidiente, che non li accontento mai, mentre loro cercano di soddisfare ogni mio desiderio… come quella volta… io volevo andare al cinema con mia sorella e le sue amiche (mia sorella ha cinque anni più di me), ma i miei genitori non erano d’accordo. Poi mia madre ci ripensa e mi fa: - Hai il permesso di andare, però devi dirmi se insieme alle ragazze ci sono dei ragazzi e, in caso positivo, segnarti i loro nomi -.

Io naturalmente rifiuto. - Figurati se faccio la spia -, le rispondo, - neppure per quella stupida di mia sorella! –

Allora mia madre va su tutte le furie e mi accusa di avere una mentalità ristretta, di pensare solo a me stesso e di non essere aperto né a critiche né ad apprezzamenti. Come se loro mi facessero degli apprezzamenti: l’unico e immutabile è sei disubbidiente, e di lì non si schiodano.”

“Anche Gabriele è disubbidiente, ma abbiamo raggiunto un accordo. Quando succede, lui me ne spiega i motivi, e insieme ragioniamo finché, di solito, troviamo un’intesa. Dovresti proporlo anche tu ai tuoi genitori.”

“È proprio questo che mi manca: non posso mai discutere con i miei genitori se non a tavola, dove sono subissato di domande alle quali non posso rispondere perché, secondo mia madre, non si deve parlare con la bocca piena di cibo. Così, o non mangio e parlo, o mangio e non rispondo.”

“Via, Alessandro, non fare così. Si può mangiare e parlare tra un boccone e l’altro!”

“Lei però trova il tempo per suo figlio, anche se lavora. A proposito, come mai è a casa oggi?”

“Lele mi ha detto che tu avevi bisogno di parlarmi, così mi sono presa qualche ora di permesso…”

Alessandro fugge dalla cucina in lacrime lasciando la povera signora a mordersi la lingua.