Login Form

STORIE IN CONCORSO

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Venerdì, 03 Luglio 2020 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

willy2 

Entro nel bar di Peppino per fare quattro chiacchiere con i soliti amici.

“Salve, Willy,” mi saluta il barista. “Che novità?”

“Proprio nessuna, e tu?”

“Beh, io una novità l’avrei…”

“Di che si tratta?” chiedo sospettoso. Non è da Peppino lasciare le frasi a metà!

“Abbiamo indetto un concorso.”

“Abbiamo chi? Indetto che cosa?”

“Un concorso.”

“Spiegati meglio, per favore.”

“Per ravvivare un po’ l’atmosfera sonnolenta del bar, ho pensato che i frequentatori potrebbero raccontare un’esperienza personale importante. Io nominerò una commissione incaricata di scegliere il vincitore.”

“Il vincitore? In che senso?”

“Se intendi chi sarà proclamato vincitore, è presto detto. Chi avrà, secondo la giuria, raccontato la storia più intrigante ma anche più attendibile. Non vogliamo invenzioni o fantasie di dubbio gusto!”

“C’è anche un premio in palio?”

“Come no! La fornitura di latte per un’intera settimana.”

“Non ti sei rovinato…”

“Ehi, Willy, la mia è un’idea semplicemente fantastica. Pensa a quante storie ci terranno compagnia nei prossimi giorni, e tu mi vieni a fare la ramanzina. Ma per favore!”

“Non prendertela, dai! Riconosco che è una splendida idea. Qualcuno ha già aderito?”

“Sì, tu e altri verranno, vedrai. Sei il primo a esserne informato. Allora, ci stai?”

“Certamente, sai che per queste cose sono sempre disponibile,” affermo con qualche incertezza.

“A domani mattina allora. Oggi informerò gli altri e sceglierò la giuria.”

Me ne vado a casa pensieroso; in fondo la cosa, se da un lato mi interessa, dall’altro mi rende nervoso. Raccontare ad altri, seppure amici, i casi miei non mi riempie di gioia.

L’indomani il bar di Peppino è affollato. Della giuria fanno parte Rudy il Trippa, Sammy Gambadilegno, Patty Patata, Milly Pupazzetta e Didi il Miagoloso.

“Bene,” esordisce Peppino una volta sistemati i cuscini della giuria in tondo e me in una cuccia al centro. “Apre la manifestazione Willy Leoncino.”

Interrompo con un cenno della zampa gli ululati di incoraggiamento e inizio: “Mia madre abitava in una fattoria non molto distante da qui, e là appunto nacqui io. Di mio padre non ho ricordi. Avevo altri tre fratelli e una sorella che furono soppressi poco dopo essere nati. Io sfuggii alla medesima sorte perché, avendo lo stesso mantello di mia madre alla quale ero abbracciato per una poppata, non fui notato dal carnefice. Avevo poco più di quaranta giorni quando mia madre fu travolta da un’auto. Non sapevo ancora cacciare, e cavarmela da solo rappresentava un problema di proporzioni enormi, ma tant’è non c’era altro da fare che andarmene in cerca di cibo e di fortuna. Camminai tanto a lungo che, quando infine giunsi in vista di una specie di capanna ero distrutto dalla stanchezza e affamato. Davanti a me stava una specie di casa abbandonata circondata da erbacce. A fatica mi feci strada tra quella vegetazione finché arrivai davanti alla porta. Raspai e spinsi con il muso nel tentativo di aprirla, ma infine mi resi conto che era chiusa. Allora mi arrampicai su delle cassette di legno ammonticchiate sotto una finestra. Sul davanzale mi fermai per osservare l’interno della casa. Nonostante la semioscurità riuscii a notare del cibo su un tavolo di legno. Senza pensarci due volte, saltai all’interno, balzai sul tavolo e iniziai a divorare il pane, il salame e a leccare l’acqua dentro una brocca. A causa della mia inesperienza, mi sdraiai, satollo, sul cuscino di una seggiola accanto alla finestra e mi addormentai del sonno dei giusti. Non so quanto tempo trascorse, ma a un dato momento fui svegliato dal rumore della porta che sbatteva e da un odore canino intenso. Come un fulmine mi rifugiai sul tavolo inseguito dai latrati furibondi di un cane biondo dalla struttura fisica possente e che a me, povero piccolo micio, sembrava enorme. Al suo seguito era entrato anche un uomo che non fu per niente contento di scoprire le mie scorribande culinarie. Così il malvagio mi inseguì per tutta la stanza, riuscì ad afferrarmi e mi sbatté a terra in modo che il cane potesse azzannarmi. Ma il terrore che avevo provato alla vista di quei due compari fu uno stimolo talmente forte che in un battibaleno mi lanciai sulla finestra dalla quale scesi nella sterpaglia sottostante. Tra l’erba folta mi arrestai per riprendere fiato finché non sentii l’ansimare del cane accanto a me. Ero piccolo e indifeso ma avevo zampe lunghe che furono la mia salvezza. Corsi e corsi a perdifiato. Mi pareva di aver impiegato anni in quella corsa forsennata, quando giunsi infine in un giardino pubblico, dove diversi ragazzini stavano giocando. Compresi subito che essi avrebbero potuto aiutarmi, così mi arrampicai sui pantaloni di uno di loro miagolando la mia disperazione. Impietosito, il ragazzo mi prese tra le braccia, mi accarezzò e mi fece tante coccole. Nel frattempo il mio nemico biondo era sopraggiunto ansimando. Alla sua vista io affondai gli artigli nelle braccia del mio rifugio, nascondendo la testa sotto la sua ascella. Il cane fu scacciato in malo modo, dopodichè il mio salvatore mi portò da una signora che abitava lì accanto.

- Ho trovato questo micino abbandonato, lo vuoi? - chiese.

- Sai che ho già tanti gatti, non posso prenderne un altro!

In quel mentre un cane uscì di corsa da casa abbaiando furiosamente. “Di nuovo,” pensai saltando a terra e nascondendomi sotto un cespuglio davanti al quale la belva non la finiva di latrare. La signora fece rientrare il cane in casa, poi cercò di blandirmi affinché uscissi dal mio rifugio.

- Non voglio! - miagolavo, - lasciami al mio destino, in fondo non ti ho chiesto io di adottarmi!

Ma la mia nuova amica non demorse: tanto fece e tanto disse che mi convinsi a mettere fuori il capo. Lei mi raccolse, mi abbracciò e: - Non sei per niente bello, ma ti voglio già un mondo di bene.

Io la amai subito di un amore folle e da allora non l’ho più abbandonata... Io avrei finito.”

Un rumoroso brusio sale dagli astanti che, incitati da Peppino, si lanciano in un lungo miagolio di approvazione, mentre la commissione si ritira in un’altra stanza per discutere il punteggio da assegnare alla mia storia.

“Il secondo concorrente è Eddie Pighino. Prego,” recita Peppino.

Eddie è un po’ timido e, prima di iniziare la narrazione, medita per qualche secondo poi: “Sono nato in una località chiamata Bordighera.”

“Dove sta questa Bordighera?” domanda incuriosito Peppino.

“In Liguria che è una regione nel Nord dell’Italia, bagnata dal Mar Ligure,” spiega Rudy il Trippa. “Prosegui pure Pighino.”

“I miei genitori vivevano liberi in un sottopassaggio nei pressi di un albergo. Avevo poco più di dieci giorni quando mia madre fu catturata da una coppia che voleva portarla in Inghilterra. Si trattava di due inglesi che si erano innamorati di lei e che probabilmente non si erano accorti dell’esistenza dei suoi piccoli. Per fortuna mia madre riuscì a fuggire e a tornare da noi la sera stessa, altrimenti saremmo morti di fame. All’età di due mesi io stavo giocando a nascondino con una delle mie sorelle nei pressi della scogliera, quando una signora ci vide e decise di aiutarci. Il giorno successivo ci attirò con del cibo in scatola dal profumo irresistibile. Mentre mangiavamo con avidità quelle leccornie, fummo intrappolati in una gabbia spaziosa provvista di vivande, acqua e lettiera igienica. Io mi adattai subito: non mi pareva vero di avere cibo in abbondanza e comodità di ogni tipo, mia sorella invece sembrava impazzita. Non la smetteva di chiamare mamma e disdegnava tutto quel ben di Dio. Io cercai più volte di ridurla alla ragione, ma non ci fu niente da fare. Nel frattempo la nostra gabbia era stata caricata su un’auto che era partita alla volta di Mantova. La casa che ci accolse era spaziosa. Noi avevamo il permesso di circolare in ogni stanza, ma io preferivo restarmene disteso in una cesta imbottita accanto a un termosifone in cucina: là avevo trovato un calore che mi ricordava mamma e odoravo certi profumini che avrebbero stimolato l’appetito di un morto. Mia sorella continuava a lamentarsi, tant’è che un giorno fu ceduta a una ragazza venuta in visita e di lei non seppi più nulla. Io invece crebbi in quella casa e non me ne sarei mai andato se non fosse accaduto che… ma ora vi racconto. Avevo ormai quasi un anno, era primavera e nelle mie vene scorreva un sangue turbolento che mi spingeva ad allontanarmi sempre più da casa per cercare… allora non sapevo che. Lo seppi appena la vidi: una gatta rossa e bianca, con un musetto rotondo in cui sfavillavano due smeraldi. Mi guardò, la seguii e restammo insieme per un intero mese. Poi un giorno, senza preavviso, lei mi disse:

- Non offenderti Eddie, io voglio fare altre esperienze, così ti chiedo di sparire dalla mia vita.

Ero disperato! Ormai avevo perduto la nozione del tempo e dello spazio, cosicché non potevo tornare a casa mia, ma la cosa peggiore era quel senso di inutilità che lacerava le mie viscere. Per farla breve vagavo per le strade miagolando il mio dolore finché giunsi nella casa dove vivo ora e dove mi accolsero come se fossi stato il loro micio da sempre. Là vivevano molti altri gatti, tra cui una stupenda, meravigliosa, afrodisiaca micia di nome Mary la Vipera per il suo carattere un po’… come posso dire? un po’ selvaggio, ecco! I padroni di casa la chiamavano Betty, nome che lei aveva accettato solo parzialmente. Mi innamorai a prima vista, la sposai, ne ebbi quattro magnifici cuccioli e restammo insieme fino alla sua morte che sopraggiunse per un’insufficienza renale quando lei aveva da poco compiuto i nove anni. Soffrii molto, sapete. Fu, credo, il dolore per la morte della mia compagna che mi rese sbadato, tanto che, un giorno, attraversando la strada, fui investito da un’auto. Ebbi solo una lieve ferita alla bocca, ma l’impatto mi provocò una crisi epilettica. Da allora non mi sono più liberato da questo malanno che, per fortuna, non è molto frequente. Ho ormai diciotto anni, ho fatto testamento e attendo con serenità che Bastet mi inviti a casa sua.”

Anche Eddie riceve la sua dose di ovazioni.

“Terzo concorrente, Humphrey Codainquieta. Prego,” prosegue Peppino.

“Buon giorno, cari amici. La mia storia non è particolarmente interessante, però giudicate voi. Sono nato lungo l’argine di un canale; era settembre. Di cinque cuccioli sopravvissi solo io perché mia madre, molto anziana e debilitata da anni di randagismo, non era riuscita a nutrire tutti quanti. Mi mancavano molto i miei fratelli: non avevo un compagno di giochi e mia madre mi allungava severe zampate ogni volta che tentavo di coinvolgerla nei miei pazzi momenti di allegria. Un giorno fui raccolto dalle mani gentili di un ragazzo e portato in una casa accogliente. Io ero molto giovane e irrequieto, tant’è che non fui accettato se non a patto che vivessi in giardino. Ero al settimo cielo! Un giovane gatto abituato alla vita libera che cosa può desiderare di più? La mia felicità fu tuttavia alquanto effimera. Infatti, non avevo considerato una piccola umana – quattro o cinque anni, non so di preciso – che era convinta di essere la mia padrona. Ogni giorno rappresentavo per lei un giocattolo diverso, finché mi capitò di interpretare il ruolo di palla. State a sentire. Era il compleanno della piccola umana e perciò vennero delle amichette per festeggiarla. Dopo aver mangiato le varie leccornie umane e bevuto le diverse bibite amate dai ragazzini, le bimbe uscirono in giardino, dove io stavo bisticciando con un rospo per nulla socievole. Frastornato dalle grida del branco umano, mi appiattii sul terreno, ma fui prelevato per la coda dalla festeggiata che mi lanciò contro il muro come fossi una palla. Le altre seguirono il suo esempio e io sentii le mie giovani ossa lamentarsi a più riprese. Per farla breve la giornata terminò nell’ignominia più completa: io zoppicavo e mi lamentavo in continuazione per il male alle gambe che avevo fratturate. Fortunatamente i lamenti raggiunsero una vicina che, impietosita, mi accolse in casa sua per la notte. L’indomani fui trasferito in un’altra abitazione, dove la mia attuale mammy mi ospitò e mi curò amorevolmente. Ora sono in compagnia con molti altri mici, ma io sono il più giovane e il beniamino,” termina Humphrey con un sorriso di compiacimento dietro i baffi.

Io vedo bene che questa storia non è piaciuta molto, perciò miagolo da solo un’ovazione interminabile.

“Bene,” conclude Peppino. “se non ci sono altri concorrenti, passo la parola alla giuria.”

“Aspettate un momento,” supplica una vocetta angelica.

Mi giro e vedo la gatta più meravigliosa che sia mai comparsa sul globo terracqueo. Pelo biondo miele sul dorso e bianco sotto, occhi a mandorla di un verde puro come acqua di sorgente.

Tutti la osservano con vivo interesse e lei: “Scusate se vi ho interrotto, ma ho saputo del concorso e mi piacerebbe partecipare. Non sono cliente di questo bar perché non esco mai da casa, ma stavolta sono fuggita dalla finestra della stanza da letto… mi sono dovuta lanciare dal primo piano, sapete? Io sono molto timida, ma ho voluto partecipare ugualmente per il motivo che poi comprenderete. Che ne dite? Posso raccontarvi una cosa che mi è successa solo poco tempo fa?”

E chi mai avrebbe potuto negarle qualcosa?

Infatti, Peppino: “Prego, accomodati, sei la benvenuta.”

“Il mio nome è Susy Biondomiele. Sono una micia solitaria e vivo in questo momento in una famiglia umana che tende a non farmi mai uscire da casa per paura di qualche incidente. La mia vita iniziò come tante altre vite di gatte: mamma era una randagia, non ho mai conosciuto mio padre, a tre mesi fui abbandonata a me stessa e, per fortuna, poco dopo fui adottata da una famiglia umana. Ma la storia che desidero raccontarvi è successa lo scorso anno, nel mese di dicembre. L’inverno non era ancora giunto – forse aveva subito qualche ritardo nella traversata, sapete come succede. Io me ne stavo tranquillamente stesa sul divano esterno nella casa che allora frequentavo, quando sentii una voce invitarmi a raggiungere il giardino: si trattava della mia amica Maggie.

- Susy, mi faresti un piacere?

- Se posso, volentieri.

- Avrei bisogno che mi accompagnassi in un posto…

- Di che posto si tratta?

- Oh, è una sorpresa.

- Se non ti spieghi meglio, io non mi muovo.

- Bell’amica! Va bene. Ti ricordi la talpa catturata ieri? Beh, devi sapere che non trovo più il corpo. L’avevo nascosto sotto il cespuglio di sambuco, ma oggi è scomparso. Credo che il responsabile sia Pally.

- Se è stato lui, non c’è nulla da fare: è troppo forte e astuto per noi.

- Hai ragione, ma ci sono situazioni che lui non riesce a gestire… e poi sarà anche astuto, ma sempre un maschio è!

- Maggie! Tu parli per enigmi. Spiegati meglio, per favore!

La mia amica mi lanciò uno sguardo scaltro e: - Sappiamo entrambe che Pally è innamorato di te. Ora, se tu gli rivolgessi la parola e gli chiedessi di accompagnarti a casa, io potrei frugare nella sua tana e sottrargli la mia talpa.

- Sì ma poi chi si libera più di lui? non voglio che mi resti appiccicato per il resto della vita.

- Non preoccuparti. Ti aiuterò io.

Tanto disse e tanto fece che mi convinse a collaborare. Ci recammo davanti alla tana di Pally. Maggie si nascose mentre io passeggiavo indifferente. Finalmente Pally uscì in strada, mi vide e prese a seguirmi. Non ebbi neppure bisogno di parlargli: mi stava appiccicato come un chewing-gum. Camminai e camminai sperando che nel frattempo Maggie avesse trovato il suo prezioso “corpo” e, quando stimai che fosse trascorso un ragionevole lasso di tempo, mi volsi verso Pally e gli chiesi perché continuasse a seguirmi.

Lui mi fece una dichiarazione d’amore in piena regola e mi chiese se poteva sperare di accompagnarsi a me.

- Neppure per idea! - esclamai burbera, lasciando il mio interlocutore con un palmo di baffi.

Approfittando del suo stupore immobile, corsi fino a casa mia, dove mi accomodai sul divano esterno. Stavo pensando a Maggie, quando lei comparve. Mi accorsi subito che qualcosa non andava.

- Ciao, Maggie. Allora? com’è andata?

- Ti avevo pregato di tenere a bada Palli, e tu mi avevi assicurato che lo avresti fatto. Invece lui è tornato prima che io avessi terminato di frugare la sua tana e mi ha colta sul fatto.

- Ma la talpa? l’hai trovata?

- Certo che no. Non ne ho avuto il tempo. Dobbiamo rifare tutto da capo, e stavolta non dovrai lasciarlo andare finché non mi vedrai…

- Mi dispiace, Maggie, ma io non ci sto.

Di nuovo suppliche, promesse, richieste di amicizia, disperazione finché mi decisi ad acconsentire.

Non fu facile convincere Pally a seguirmi: era molto titubante dopo la mia uscita della volta precedente, ma un paio di occhiate lanciate ad arte lo convinsero.

Il giardino di casa mia, il parco pubblico, il cortile di una fattoria, non sapevo più dove trascinarlo. Inoltre iniziavo a preoccuparmi perché lo vedevo a distanza sempre più ravvicinata ed ero certa che, ancora pochi istanti, e mi avrebbe apostrofata.

Allora mi accucciai e attesi che si avvicinasse. Mi guardava con occhi languidi, la bocca semiaperta per gustare il mio odore, la coda alta con punta a ricciolo. Ancora pochi passi e mi fu accanto.

- Salve, Susy. Oggi mi vuoi proprio far impazzire?

- Per niente. Avevo voglia di fare due passi, ma vedo che mi è impossibile muovermi senza averti al seguito.

- E questo ti dispiace?

- Diciamo che non mi fa certo piacere. Sai perfettamente che io amo la libertà…

- Sì, lo so. E allora che cosa vuoi che faccia? me ne devo andare?

Non sapevo che cosa rispondere: Maggie non si vedeva, e io non riuscivo più a gestire la situazione. Cacciarlo avrebbe significato mettere la mia amica in nuovi guai, invitarlo a restare significava mettere me stessa nei guai. Un uccellino provvidenziale ci sorvolò andando a posarsi su un ramo a pochi passi da noi.

Non parlai, ma guardai negli occhi Pally invitandolo a una partita di caccia. Non se lo fece ripetere: sapeva di essere molto valido come cacciatore e voleva mostrarmelo. Restai accucciata in attesa. Ci volle un po’ di tempo, ma alla fine l’uccellino, ormai immobile, mi fu appoggiato proprio davanti alle zampe.

Sapete anche voi che accettare un omaggio del genere significa impegnarsi per tutta la vita e allora: - No, grazie, la preda è tua ed è giusto che sia tu ad averla.

- Allora me ne torno a casa. Avevo sperato che i tuoi sentimenti nei miei confronti si fossero un po’ ammorbiditi, ma mi sbagliavo. Stammi bene, Susy, - si accomiatò.

Non sapevo più che cosa fare: Maggie non era ancora ricomparsa, e io non avevo altro mezzo per trattenere Pally se non la seduzione. Ma quello non era certo nelle mie intenzioni.

Tornai a casa, dove trovai Maggie che si stava divorando la sua talpa.

- Bella amica sei! io là che non sapevo più come trattenere Pally e tu qui che ti fai gli affari tuoi senza pensare alle mie difficoltà! - sbottai.

- Eh, quanto la fai lunga. Non potevo lasciare in giro la talpa, me l’avrebbe sottratta qualcun altro. Sarei venuta appena terminato il pasto.

Le voltai le spalle irritata. Maggie non è mai stata un’amica affidabile, e io dovevo ormai conoscerla. Mentre questi pensieri, e altri, attraversavano la mia mente, ecco comparire Pally, infuriato come uno stormo di vespe.

- Era tutto un trucco per sottrarmi la preda vedo! - esclamò tra i denti, dirigendosi verso di noi.

Io me ne stavo tranquilla a osservare gli avvenimenti, pensando che il micio si rendesse conto della mia totale estraneità alla cosa, e invece Pally mi affrontò mollandomi una poderosa zampata che mi fece rotolare sul dorso.

- Ehi, ma che fai? sei impazzito? - gli gridai.

- Io non sono per niente pazzo, solo che non mi piace essere beffato, chiaro? - rispose prima di balzarmi addosso e addentarmi una spalla.

Per farla breve, dopo dieci minuti di trattamento, ero ammaccata e zoppicante, mentre la mia “amica” Maggie terminato il pasto, si defilava in sordina.

Ho voluto raccontarvi questa storia per mettervi in guardia: diffidate di Maggie. È solo capace di farsi gli affari suoi, non le importa niente degli altri!”

Un silenzio assurdo seguì il termine del racconto. Iniziai a battere le zampe, imitato dall’intero auditorio.

“Bene,” fece Peppino, “ora ritengo che non ci siano altri concorrenti, quindi la giuria si ritiri ed emetta il verdetto.”

Susy Biondomiele se ne andò con la scusa che la sua ospite umana si sarebbe preoccupata se avesse scoperto la fuga.

-Se dovessi vincere, vi prego di informarmi. Lascio a Peppino il mio indirizzo.

Tutti i concorrenti restarono a chiacchierare e a bere nell’attesa che la giuria decidesse.

Contrariamente a ogni previsione, vinse la mia storia.

Io ero sì soddisfatto, ma non riuscivo a capire come una storia tanto comune quanto la mia avesse avuto la meglio su quella di Susy che, a mio parere, era molto più interessante. Decisi quindi di chiedere spiegazioni a Rudy il Trippa, il nostro saggio sapiente e presidente della giuria.

“Sono d’accordo con te che il racconto di Susy è più intrigante, ma noi conosciamo solo la sua versione dei fatti, bisognerebbe ascoltare pure Maggie, e dopo potremmo giudicare la storia nella sua completezza, non credi Willy?”

“Sei sempre il migliore, Rudy,” dichiarai, sfregandomi contro il suo fianco enorme.

(dal libro Animali, amici miei edito in marzo 2010)