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PERCHE' QUESTA VIOLENZA? (storia vera)

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Martedì, 02 Novembre 2021 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

 

ma perchè questa violenza

Stavo giocando con mio fratello minore Aokuro, quando sentii dei rumori di rami spezzati. In un primo tempo pensai che fossero i ranger nostri amici, ma poi dei colpi di morte esplosero sulla nostra comunità.

Presi Aokuro per mano e lo trascinai nel folto dei cespugli, obbligandolo a restare fermo e zitto.

Vedemmo così lo sterminio della nostra famiglia, innanzi tutto di papà che aveva cercato di difendere mamma, poi fu il turno di mamma, delle sue due sorelle e dei loro tre figli.

Quando tutto ritornò alla normalità, uscimmo allo scoperto per vedere se qualcuno fosse sopravvissuto: nessuno.

Eravamo piccoli e indifesi; non sapevamo se nei dintorni vivessero altri gorilla, così, piangendo e tremando fuggimmo il più lontano possibile.

Mamma non ci aveva ancora insegnato a procacciarci il cibo né a difenderci dai predatori, quindi camminavamo nascosti tra i cespugli che in quel posto erano particolarmente folti.

“Fermiamoci Beki,” mi pregò a un certo punto mio fratello, “non riesco più a camminare. Riposiamoci un po’.”

Lo abbraccia e restammo stretti uno all’altra per scaldarci: l’estate non era ancora arrivata, ma quello che dovevamo scaldare soprattutto era il nostro cuore, ferito, deserto, abbandonato.

“Perché l’hanno fatto eh Beki?” mi chiese Aokuro.

“Non lo so. Ci sto pensando da quando siamo fuggiti e non riesco a darmi una spiegazione.”

“Allora non tutti gli umani sono come i nostri amici ranger, eh Beki?”

“Credo proprio di no. I ranger non avrebbero mai fatto del male al nostro gruppo, anzi, loro ci hanno sempre difeso. Ssst! Ho sentito un rumore,” pronunciai sottovoce, iniziando a tremare ancora di più.

Stemmo silenziosi in attesa che il rumore si palesasse, ma evidentemente si trattava di un animale che non ci aveva individuati.

Ci spostammo sotto un cespuglio più folto.

“Ho fame,” affermò Aokuro.

“Anch’io, ma credo che qui intorno non ci sia nulla da mangiare, o comunque io non lo vedo.”

“Guarda,” mi indicò Aokuro, “non è un nido di formiche quello? Papà ce ne dava qualcuna da mangiare ogni tanto. Che ne dici se ne provassimo un po’?”

“Direi di sì, però sai che noi ci nutriamo quasi esclusivamente di vegetali, non vorrei che le formiche ci facessero sentire male. Io preferisco cercare delle foglie commestibili.”

“Ho capito, però come fai a sapere se sono commestibili?”

“Beh, allora aspettiamo di calmarci un po’, poi tenteremo di ricordare che cosa ci dava mamma.”

Sbuffò mio fratello che, evidentemente, era più affamato di me.

Trascorse la notte sul nostro sconforto, una notte triste per le perdite subite, una notte fredda lontano dal calore dei nostri genitori, una notte tragica senza sbocchi evidenti.

Il mattino successivo ci trovò abbracciati in cerca di calore e di conforto, affamati ma impossibilitati a cercare cibo, terrorizzati dal timore che la tragedia da poco vissuta si ripetesse.

Poi sentimmo di nuovo rumore di rami spezzati.

“Fai silenzio!” imposi al mio compagno, cercando di spingerlo nel folto del cespuglio, che però si mosse.

“È finita,” pensai.

“Ancora violenza?” lessi negli occhi di Aokoru.

In quel mentre una mano tentò di scostare i rami, e noi poveri piccoli gorilla, fummo certi che per noi non c’era più speranza.

E invece, dopo la mano, fu la volta del viso di un ranger che, radioso di gioia, ci abbracciò e ci baciò come fosse stata la nostra mamma.

Fummo portati, dopo sei ore di marcia ininterrotta, nella nursery dove ci furono prestate le prime cure.

Mio fratello, di un anno più giovane, era quasi al collasso e fu solo per le cure dei nostri amici che fu possibile salvarlo.

Anch’io non ero messa molto bene, soprattutto a livello emotivo: ogni rumore mi metteva in allerta e iniziavo a tremare e a piangere.

Durante quel periodo chiesi più volte al mio amico ranger che cosa fosse successo, ma lui non comprendeva la lingua dei gorilla.

Ora sono trascorsi ben quattro anni durante i quali ci siamo irrobustiti e abbiamo imparato molto: come nutrirci autonomamente, come sfuggire ai pericoli e tante altre cose che servono a noi gorilla di montagna.

“Domani tornerete alla vostra vita naturale,” mi sta informando un ranger.

“Ma noi vogliamo restare qui con voi. Perché volete abbandonarci?”

Il ranger non comprende, ma vedo che anche il suo sguardo è triste, forse si sarà affezionato pure lui e gli dispiacerà separarsi da noi. E, infatti, afferma: “Credo sia giusto che voi torniate alla vostra foresta nel Virunga. Qui continuereste a essere dipendenti da noi umani, e questo non va bene. Ma non temete, noi vi seguiremo sempre. Ora preparatevi, dobbiamo andare.”

I ranger che ci accompagnano sono due che, di tanto in tanto, ci chiedono se vogliamo riposarci.

“No, non siamo stanchi,” rispondo, ora che la natura mi sta avvolgendo nelle sue braccia profumate.

Sono eccitata, e noto che lo è anche Aokuro.

Finalmente giungiamo in un luogo che i ranger reputano adatto per la nostra liberazione.

Siamo di fronte ai nostri amici che ci guardano con le lacrime agli occhi.

Io mi butto tra le braccia del mio ranger, quello che mi ha trovata quattro anni fa, gli circondo il collo con le braccia e sfrego la mia guancia sulla sua: gli voglio bene e mi piacerebbe che gli umani fossero tutti come lui.

(dal libro La fattoria dei sogni edito in luglio 2015)