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LA SFORTUNA DI ESSERE GRIGI

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Venerdì, 10 Dicembre 2021 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

scoiattolo grigio

“Via, di corsa, nelle tane,” urlo a più non posso dopo aver intercettato il rumore inconfondibile di un’auto.

I miei compagni non se lo fanno ripetere e, poco prima che il mezzo meccanico arrivi tra di noi, nessuno scoiattolo è più visibile.

Non riesco a capire il motivo per cui gli umani ci stanno dando la caccia. E ciò che comprendo ancora meno è perché solo a noi e non ai nostri consimili rossi.

Voglio consultare qualche anziano, appena passato il pericolo.

Oh no! Ci sono anche i cani! Eccoli ai piedi del mio albero che abbaiano come ossessi.

E ora che faccio?

Mamma mi diceva sempre di non muovermi dalla tana quando i pericoli sono esterni, ma lei non ha seguito i suoi suggerimenti perché, stanata dai cani, è fuggita dal suo albero. Un proiettile l’ha raggiunta e il suo povero corpo è stato straziato dai mastini.

Proverò dunque a seguire il suo consiglio, sperando che a me vada meglio.

Ma la canea sotto il mio albero continua, finché sento gli umani ordinare alle bestie di smetterla: “Basta ora, non vedete che non c’è nessuno nella tana? Andiamo avanti.”

Pfiuu! Che spavento! Mi devo rilassare un poco, ho il cuore che sta andando a mille.

Non posso nemmeno sporgermi per vedere che sta accadendo perché altrimenti attirerei l’attenzione, ma ho la sensazione che ci saranno anche oggi delle vittime: ho sentito diversi colpi di arma da fuoco.

Gli umani tornano verso il mio albero, sotto il quale di nuovo si scatenano i cani.

“Quanti ne hai presi?” chiede un umano ai suoi compari.

“Penso circa una ventina. Però sono certo che in questa zona ce ne siano molti di più. Che facciamo, mettiamo le esche avvelenate?”

“Direi proprio di sì, così ci liberiamo di tutti, anche quelli che oggi non sono in zona.”

“Ma non pensi che le esche potrebbero essere inghiottite da altri animali?”

“È molto probabile.”

“E allora? Che pensi di fare?”

“Peggio per chi le mangia…”

Li sento trafficare ai piedi dell’albero (staranno distribuendo le esche), ma all’improvviso un guaito terrorizzato si alza nel silenzio del boschetto.

“Che cos’ha il tuo cane?”

“Boh, che vuoi che ne sappia.”

“Secondo me ha mangiato dei bocconcini avvelenati. Dovevamo mettere al sicuro le bestie prima di procedere. E ora dobbiamo correre dal veterinario, sperando che riesca a salvare quel povero animale.”

“No, non ne vale la pena, arriveremmo troppo tardi. Lasciamo qui la carcassa: se qualche animale se ne ciba, avrà i suoi problemi.”

Ma così malvagi sono gli umani? Capisco con noi – hanno deciso di farci sparire –, ma con i loro cani?

Il mezzo meccanico parte, lasciando a terra un povero animale sofferente che chissà quanto ci metterà per morire.

Esco dalla tana e mi avvicino al cane.

“Stai molto male?”

“Sto morendo: nelle mie viscere è scoppiato un incendio provocato dai bocconi avvelenati e ho dolori lancinanti in tutto il corpo.”

“Ma perché gli umani stanno facendo tutto questo? Perché ce l’hanno a morte con noi?”

“Dicono che voi scoiattoli grigi state facendo scomparire gli scoiattoli rossi, e così hanno deciso di eliminarvi.”

“Ma allora perché non ci hanno lasciato nel nostro ambiente naturale? Gli anziani ci hanno raccontato che noi siamo originari degli Stati Uniti. Che cosa ci hanno portati qui a fare?”

“Sono strani gli umani. Vedi, io credevo che il mio non fosse proprio il massimo come compagno – mi sono preso tanti calci e tante punizioni da lui –, ma che mi lasciasse qui a morire come un cane… quello proprio non l’avrei mai pensato.”

“Posso aiutarti in qualche modo?”

“No, ma io sì. State lontani dai bocconi avvelenati e, se ci riuscite, seppelliteli in modo che altri animali non possano cibarsene. La settimana prossima gli umani verranno con delle gabbie, vi cattureranno e vi porteranno in un laboratorio, dove morirete asfissiati. E quelli che sopravvivranno saranno cacciati a suon di fucilate. Ora lasciami, sento già il freddo della morte salirmi dalle zampe. Addio piccolo e grazie per essermi stato accanto in questi momenti. Ricordati ciò che ti ho detto.”

Dopo queste parole pronunciate a fatica, il mio nuovo amico fu travolto dalle convulsioni della morte.

Gli inviai un pensiero grato per le informazioni che mi aveva regalato.

Radunai subito i superstiti della mia colonia, comunicando loro ciò che avevo appreso.

Gli anziani allora decisero di inviare alcuni giovani maturi per trovare un luogo adatto ma anche più sicuro per il nostro trasferimento.

Nel frattempo molti di noi, aiutati da alcuni amici ricci che avevamo salvato da morte certa, seppellirono le esche avvelenate in modo che non potessero nuocere più.

Due giorni dopo ci trasferimmo in un nuovo boschetto, dove costruimmo le tane e dove per un certo periodo ci sentimmo al sicuro.

Poi accadde di nuovo: spari, esche avvelenate, cani.

Pochi di noi sopravvissero nascondendosi tra le fronde degli alberi più alti.

Quando tutto terminò, seppellimmo i bocconi avvelenati e ci riunimmo per decidere che altro potevamo fare.

“Purtroppo noi abbiamo la sfortuna di essere grigi e quella di essere invisi agli umani. Dobbiamo affrontare il nostro destino senza continuare a fuggire, ma creando dei rifugi sicuri dove gli umani non possano arrivare.”

Fummo tutti d’accordo e ora, terminato il mio racconto, siamo rimasti in tre.

(dal libro La fattoria dei sogni edito in luglio 2015)