IL RISVEGLIO DEL PRINCIPE
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Venerdì, 29 Novembre 2024 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
In un magnifico castello nel folto di un bosco rigoglioso viveva il principe Diodoro con tutta la sua corte. I suoi genitori erano morti e lui sarebbe stato incoronato re di quel regno non appena trascorso il periodo di lutto.
Il principe, di aspetto bellissimo, otteneva sempre ciò che voleva e perciò era diventato esigente e privo di compassione, tant’è che il suo svago preferito era la caccia.
Ogni giorno si addentrava nel bosco che circondava il castello e faceva strage di animali. Neppure gli sguardi supplicanti di un cerbiatto trafitto da una freccia riuscivano a commuoverlo, tanto che un giorno riuscì a ferire una mamma cerva che allattava i suoi piccoli e, sentendo il pianto di questi ultimi, non trovò di meglio che ucciderli davanti alla madre morente.
Tornato al castello, soddisfatto del suo operato, ordinò ai servi di andare l’indomani a prelevare le carcasse che sarebbero servite per i pasti del giorno successivo.
Era sdraiato su un divano quando un’ancella gli annunciò una visita.
Annoiato com’era, non rifiutò di ricevere la sconosciuta che si rivelò essere una mendicante: “Buon giorno mio principe. Posso chiederti ospitalità per questa notte? Non ho dove andare e fuori fa freddo.”
“Come ti permetti di venirmi a seccare con le tue richieste? Non vedi che sono occupato? Vattene subito se non vuoi che ti faccia cacciare dai miei servi!” le intimò.
La vecchietta invece continuava a restarsene immobile davanti al principe, il quale a quel punto alzò una mano munita di un frustino per battere l’impudente.
Ma, meraviglia delle meraviglie, la poverina si trasformò in una bellissima fata che minacciò: “Se non cambierai vita Diodoro, sarai severamente punito.”
“Ah sì?” rise il principe. “E che dovrei fare secondo te?”
“Semplice. D’ora in avanti dovrai evitare di uccidere animali e di mangiarli. Dovrai essere più comprensivo nei confronti dei tuoi simili e meno viziato.”
“Altrimenti?” rise più forte Diodoro.
“Dimmi solo se hai intenzione di seguire i miei consigli, poi deciderò,” dichiarò la fata.
“Non ne ho la minima intenzione!”
“Ne sei assolutamente certo?”
“Sì!”
Allora la fata estrasse la bacchetta magica, con la quale toccò il principe che iniziò a trasformarsi in una mostruosa bestia e gli comunicò: “Questo d’ora innanzi sarà il tuo aspetto. Potrai ritornare a essere umano solo se qualcuno, nonostante la tua mostruosità, si innamorasse di te.”
“Maledetta,” urlò il principe vedendo la metamorfosi che avevano subito le braccia e le gambe. “Ridammi il mio aspetto, te lo ordino.”
“Non hai alcun potere su di me. E ti dirò di più. Questa rosa segnerà il tuo destino: quando l’ultimo petalo sarà caduto, tu non avrai più l’opportunità di ritornare al tuo aspetto originale, ma resterai per sempre come sei ora. E con questo ti saluto,” dichiarò la fata prima di svanire nel nulla.
Diodoro corse fuori a specchiarsi nella fontana del cortile interno al castello e, quando vide quanto orrendo era il suo aspetto, cominciò a emettere ruggigrugniti e miagolosibili.
Poi salì in camera sua chiamando a gran voce i servi (ma la voce ormai non era più la sua) servi che, tuttavia, non poterono rispondere ai suoi richiami perché trasformati in stoviglie dalla fata.
Allora si lanciò fuori dal castello e, galoppando come un ossesso, arrivò sul luogo dove la mattina aveva massacrato i cerbiatti. Mamma cerva giaceva a terra ancora viva e allattava i suoi piccoli (di certo un’altra malefatta della odiata fata!).
Con un ghigno maligno Diodoro si avvicinò per nutrirsi di quelle povere creature, ma quale fu il suo stupore nel sentire che non era più attratto da cibi carnei: il suo unico desiderioera per cibi vegetali.
Furibondo per l’inaspettata novità, tornò al castello, si recò nel grande orto coltivato dai cuochi e là si nutrì dei succosi frutti della terra.
Una volta saziato il suo appetito, il principe prese con cura la rosa (di un tenero colore lilla), la mise in un vaso d’acqua e la coprì con una campana di vetro, sperando che durasse il più a lungo possibile.
I giorni iniziarono a trascorrere lenti ma inesorabili, con Diodoro che si nutriva di frutti e di altri cibi vegetali mentre vagliava tutte le possibilità per giungere a una soluzione.
Ma fu il destino a offrirgli un’opportunità.
Pioveva a dirotto, quando qualcuno bussò al portone del castello. Diodoro aprì e si trovò di fronte una fanciulla bellissima.
“Sei la fata?” chiese speranzoso.
La fanciulla retrocedette impaurita davanti a quella figura orrenda. Poi, ripresasi un po’ (avendo anche sentito che il mostro parlava una lingua comprensibile) rispose: “No, mi chiamo Belle, sono la figlia del fornaio e mi sono persa. Sono bagnata e infreddolita. Mi potete ospitare per stanotte? Domani, quando il temporale sarà cessato, tornerò a casa mia.”
Nella mente di Diodoro passarono mille immagini: come far innamorare la giovane, come fare a trattenerla al castello, come spiegarle il suo aspetto e molto altro ancora.
Si scostò dal portone e fece cenno a Belle di entrare. La accompagnò in una stanza da letto e si ritirò.
La fanciulla era molto inquieta: nel castello non aveva notato servitù e, sapere di essere sola con quel mostro, le dava un senso di angoscia più forte del timore per il nubifragio che imperversava all’esterno. Cercò quindi di asciugarsi come meglio poté al fuoco del camino, poi scese senza far rumore al piano di sotto, si avvicinò al portone e cercò di aprirlo. Ma, con suo grande stupore, non vi riuscì.
“Santo cielo, sono dunque prigioniera di quell’orrendo mostro?” mormorò scoppiando in lacrime.
Un grido soffocato le uscì di bocca quando si sentì toccare un braccio, si girò e, con un certo sollievo, vide che si trattava solo di una tazza di tè fumante con degli invitanti biscotti alle erbe. Nessuno, tuttavia, reggeva la tazza che si librava nell’aria all’altezza dei suoi occhi.
“Questo è un luogo magico dunque?” si chiese la poverina, cui tutte quelle stranezze avevano fiaccato lo spirito.
“Non proprio, ma ora bevi e mangia e poi, dritta a letto. Non ti succederà nulla, tranquilla,” disse la tazza.
“Ma… ma tu parli?”
“Certo, sennò come farei a farmi capire?” chiese la tazza di rimando.
Belle tornò nella sua stanza, seguita dalla tazza cui si unì un cucchiaino molto simpatico che tintinnava a ogni gradino.
Dopo che si fu rifocillata, cadde in un sonno profondo popolato di incubi che le impedirono di riposare.
Il mattino successivo scese nel grande salone dove un camino elargiva il calore delle sue fiamme e dove un tavolo riccamente imbandito mostrava una varietà esorbitante di vivande. A capo del tavolo sedeva la Bestia che fece cenno alla fanciulla di accomodarsi.
Mangiarono in silenzio serviti dalle stoviglie semoventi.
Terminata la colazione, Belle si alzò, ringraziò il suo ospite e: “Ora devo proprio andare, mio padre sarà in pensiero per me. Grazie ancora dell’accoglienza. Arrivederci.”
“Non te ne puoi andare subito!” pregò Diodoro. “Sono così solo! Resta qualche giorno con me, ti prego. Manderò qualcuno ad avvisare tuo padre che stai bene. Eh? Vuoi?”
Belle era molto combattuta. La bestia le suscitava un acuto senso di ripugnanza ma nello stesso tempo una certa pietà si stava lentamente insinuando nel suo cuore.
“Capisco, ma desidero tornare da mio padre. Vi assicuro tuttavia che tornerò a trovarvi di tanto in tanto.”
“Chi mi garantisce che lo farai?”
“Avete la mia parola,” dichiarò Belle.
Allora Diodoro si tolse un anello dal dito e: ”Tieni. Questo anello ti rammenterà la promessa. Ora vai, prendi il mio cavallo per raggiungere casa e tienilo con te. Ti riporterà da me quando deciderai di tornare.”
Così dicendo la Bestia si allontanò per nascondere le lacrime che avevano iniziato a bagnargli le guance.
Belle tornò a casa dove raccontò al padre l’accaduto.
Egli se ne stupì molto: non aveva mai udito di un castello fatato che ospitava una bestia orrenda, così, convinto che la figlia si fosse inventata tutto, le proibì di far ritorno in quel posto.
L’indomani il fornaio ricevette la visita di Adelio, un giovinastro del paese che, invaghito di Belle, aveva deciso di chiederne la mano.
Lei, tuttavia, rifiutò con la scusa di essere ancora troppo giovane. In realtà Adelio era un poco di buono: torturava i cani e i gatti che gli capitavano a tiro; cacciava gli uccelli con le reti e pescava nei torrenti trafiggendo i pesci con la lancia.
Ma il giovinastro non si diede per vinto. Ogni giorno si recava dal fornaio per decantargli le sue qualità, ma in realtà per tenere controllata Belle.
Erano trascorsi tre giorni dal suo ritorno, quando Belle notò che l’anello regalatole dal mostro aveva iniziato a lampeggiare. Spaventata, la ragazza lo strofinò per cercare di spegnerne il lucore e fu allora che lo vide: la Bestia stava davanti a una campana di vetro sotto cui era custodita una rosa che aveva perduto gran parte dei suoi petali. Sembrava molto debole, tanto è vero che si teneva aggrappato al tavolo. Le guance erano rigate da lacrime e una zampa batteva il petto con una regolarità disperata.
Mentre Belle osservava la scena, Adelio scrutava da una porta socchiusa ciò che stava accadendo. Quando vide la ragazza commossa dalla visione, comprese: “È innamorata di quel mostro!”
Allora entrò nella stanza, afferrò Belle per i polsi e la obbligò a riferirgli dove si trovava il castello. Con alcuni figuri del suo stampo, galoppò fino alla meta. Entrò senza difficoltà, salì le scale e si trovò davanti alla Bestia.
Con i suoi compari cominciò a insultarlo, a deriderlo, a punzecchiarlo con la punta della spada, finché il mostro non si ribellò.
“Che volete da me? Andatevene, questa è casa mia e non siete ospiti graditi.”
In quell’istante comparve Belle che aveva cavalcato il cavallo di Diodoro. Quando vide la scena, nel suo cuore qualcosa si mosse. Un fremito, un sussurro, una compassione (ciò che provava per tutti gli animali torturati e uccisi dagli umani).
“Fermatevi, vi prego. Lasciatelo in pace: lui non vi ha provocato. È una buona persona, credetemi!” gridò la fanciulla.
“Persona? Ma che persona! Questa è una bestia mostruosa e merita solo di morire come tutti i suoi compari animali!” sghignazzò Adelio avvicinandosi a Diodoro con la punta della spada puntata alla gola.
“Sì, uccidetemi, come io ho ucciso migliaia di animali prima di ridurmi così. Lo merito, avanti, tanto la mia vita è quasi terminata,” dichiarò il mostro osservando la rosa che ormai non presentava più che un unico, delicato petalo in procinto di staccarsi.
Allora Adelio affondò la punta della spada nel collo della Bestia che si accasciò al suolo.
Belle si precipitò accanto a lui per soccorrerlo, gli prese la testa mostruosa tra le mani e lo accarezzò: “Ti prego, ti prego non morire, come farei senza di te?”
“Significa che mi ami?” pronunciò in un sussurro Diodoro.
Belle esitò un attimo: doveva leggere nel suo cuore dove trovò un grande affetto per quella povera creatura e: “Sì,” affermò, premendo le labbra su quella bocca deforme.
Proprio in quel momento il petalo della rosa si staccò, Diodoro riacquistò il suo aspetto, le stoviglie ritornarono alle loro sembianze umane e Belle svenne dall’emozione.
Ma Adelio, che aveva osservato inorridito la scena, non desistette: voleva Diodoro morto. Così gli si avventò contro, coadiuvato dai suoi compagni.
Il principe, che aveva subito solo una leggera ferita al collo, impugnò la spada, cercando di fermare quegli indemoniati.
Il combattimento fu sanguinoso: Adelio, ferito a un braccio, si lanciò con impeto contro Diodoro che stava con le spalle alla finestra. Il principe si spostò e il malvagio uscì di scena per sempre. A quel punto gli altri se la diedero a gambe con la massima celerità e non si videro più al castello.
Belle, rimasta sola con il principe, gli medicò la ferita, mentre lui le narrava la storia della sua trasformazione in bestia.
“Ora sono rinsavito: non mangerò mai più animali o prodotti derivati, anzi, ospiterò tutti quelli che avranno bisogno di essere accuditi o curati.”
“Oh caro, anch’io sono vegetariana. Essendo nata in una famiglia di fornai, la nostra alimentazione è sempre stata solo vegetale, anche perché la mia mamma, che morì quando io avevo solo undici anni, rispettava gli animali come se fossero esseri umani.”
“Oh Belle, mi sono innamorato di te la prima volta che ho posato gli occhi sul tuo volto, ma ora ti apprezzo ancora di più. Vuoi sposarmi?”
La fanciulla abbassò gli occhi, arrossì e sussurrò un sì talmente fievole che il principe ebbe timore di aver capito male. L’abbraccio che seguì confermò tuttavia il consenso di Belle.
Diodoro si recò dal fornaio per chiedergli formalmente la mano della figlia ed egli, confuso per l’onore che era concesso alla sua famiglia, acconsentì di buon grado.
Le nozze furono magnifiche, gli invitati numerosi (in pratica tutto il paese) e il banchetto sontuoso (senza cibi animali).
Seguì il discorso del principe: “Poiché io sono felice, desidero che anche il mio popolo lo sia. Così ho deciso che a ogni famiglia che passerà a una alimentazione vegetale saranno elargite cento monete d’oro. I miei scudieri pagheranno la somma solo dopo aver verificato che le regole siano rispettate. La vostra vita sarà così più felice e duratura.”
Immensi applausi sommersero la giovane coppia che visse a lungo allietata da numerosi figli.