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ASSUNZIONE DI COLPA

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Mercoledì, 19 Novembre 2014 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

Sono nata da tre giorni e ancora immersa nel buio più completo. Oggi mamma mi ha preso tra le fauci per spostarmi di certo in un luogo più sicuro, ma qualcosa deve essere capitato perché la sento correre a perdifiato inseguita da una cosa puzzolente di nemico.

D’improvviso sono abbandonata nell’erba, mentre mamma e il suo inseguitore continuano la loro pantomima.

Per un po’ me ne sto zitta nella speranza che mamma torni a prendermi, quando invece comprendo che nessuno si curerà più di me, un’onda di disperazione mi sommerge, e io urlo al cielo la mia angoscia.

Le mie grida devono aver raggiunto qualcuno perché sono sollevata da terra, accarezzata, avvolta in un panno e portata via.

Ho fame, ma nessuno provvede, o almeno i tentativi dei miei salvatori sono vani perché le loro proposte non soddisfano il mio palato.

Ho fame, ho voglia di mamma; ho sete, ho voglia di libertà.

Ora i miei lamenti sono continui, credo che morirò: non ho più neppure la forza di trascinarmi e non saprei neppure dove.

Non mi rendo conto di quanto tempo sia trascorso, ma ora sono in mani diverse.

Una tettarella dalla quale fluisce un buon latte mi viene infilata in bocca. Sulle prime rifiuto, poi il profumo del latte, pur se differente da quello di mamma, mi cattura e io suggo con intensità la nuova vita.

I giorni trascorrono sempre un po’ movimentati, poi la vitalità, a dispetto delle mie pessimistiche previsioni, prende possesso di ogni singola parte del mio corpo.

Oggi ho aperto gli occhi per la prima volta. Sono in un ambiente grande, sola, adagiata su un cuscino caldo, racchiusa in una scatola di cartone.

Cerco di mettermi in piedi, ma cado, poi ritento e, traballando, riesco infine a muovere qualche passo.

La porta della stanza in cui mi trovo si apre, un’umana si affaccia, mi vede in piedi a occhi aperti, sorride e si dirige verso di me.

Io mi ritraggo spaventata quando lei mi è vicina: è enorme e io, piccola e indifesa, mi sento perduta. Invece due mani gentili mi raccolgono, mi sistemano in grembo e mi forniscono il nettare che mi ha tenuta in vita finora. Sono felice: ora riconosco l’odore familiare e il tocco delicato.

Ancora il tempo che scorre veloce sulla mia crescita, sulle mie marachelle, sui miei disastri e sulle mie gioiose aggressioni.

Proprio quando ormai sono convinta di essermi accasata, la mia vita subisce una brusca inversione.

Oggi pomeriggio due ragazze sono venute e vedermi, mi hanno invitata al gioco, cosa che mi ha oltremodo appagata, e quindi mi hanno portata via con loro.

“Tati,” mi ha detto la padrona della nuova casa, “abiteremo qui insieme, però ci sono alcune regole da rispettare…” e giù una sfilza di divieti, proibizioni, inviti, autorizzazioni.

L’ho guardata e: “Rivoglio la mia mammy!” ho pianto.

Mi sono rifiutata di mangiare stasera, rifugiandomi sotto l’armadio nella stanza da letto dove mi era stato vietato di entrare.

È notte, il mio pancino reclama cibo il cui odore mi attrae fuori dal nascondiglio. Mi dirigo in cucina, dove una ciotola piena di leccornie mi accoglie, così come la mia nuova mammy che mi accarezza e sulle cui ginocchia salgo, ancora con qualche groppo in gola.

Abbiamo fatto amicizia, e ora con Tiziana non ho più problemi: lei mi adora e io la amo.

Quanto tempo ho trascorso in quel paradiso non so, ma a parer mio troppo poco.

Stasera un umano maschio si presenta con una borsa che svuota nel cassettone della stanza da letto.

Mi guarda subito storto, ma io sono sicura dell’amore della mia mammy con la quale trascorro tutte le notti abbracciata.

Incredula, mi accorgo di non poter entrare nella stanza da letto perché la porta è chiusa, contrariamente ai giorni precedenti. Resto tutta la notte davanti a quel divieto a rimediare un calcio dal nuovo umano. Lo odio e mi vendicherò prima o poi.

Le mie giornate sono diventate un problema: quando Tiziana non è in casa, l’umano mi picchia, mi tira scarpe, e io sono costretta a starmene tutto il tempo al riparo sotto o sopra qualche mobile alto. Quando invece la mia mammy è presente, il perfido cerca di accarezzarmi e, dato che non glielo permetto, si lamenta: “Che cos’ha la tua gatta con me?Non posso neppure farle una carezza?”

Brutto impostore!

Il peggio è che Tiziana vuole convincermi a essere carina con lui. Ma se lei ne è innamorata, io non posso certo condividere il suo sentimento, non verso un umano pieno di falsità come questo. Carco di spiegarlo alla mia mammy, ma lei non mi comprende o non vuole…

Ieri il lestofante mi ha tirato una pentola piena di acqua bollente che è finita su una pianta cui Tiziana tiene molto.

Al suo rientro lui l’ha informata che io ho versato l’acqua e che io ho fatto cadere la pianta mentre giocavo. Gli avrei cavato gli occhi, ma: “Pazienza!” mi sono raccomandata, “verrà il momento.”

Oggi il buzzurro mi ha inseguito con la scopa in mano. A nulla è valso nascondermi: la scopa arrivava dappertutto. Allora mi sono arrampicata su una mensola in cucina, dove neppure la sua arma impropria sarebbe riuscita a raggiungermi. Lui però, roteando per aria la scopa, ha colpito il lampadario mandandolo in frantumi. Voglio proprio vedere come farà a giustificare il fatto con la mia mammy: non posso certo aver rotto io il lampadario, non con la mia statura da pollicina!

In quel momento Tiziana rientra, vede il disastro e ci guarda, prima lui e poi me. Lui è senza parole, ancora con la scopa in mano e uno sguardo assassino.

“Che cosa è successo?” chiede mammy.

“Ė stata la tua gatta,” balbetta l’incapace.

“La mia gatta? A rompere il lampadario sarebbe stata Tati?”

“Sì,” sussurra lui incerto.

“Senti, inventane un’altra. Ci sono ancora dei vetri sulla scopa, e non credo che Tati la sappia usare. Ora mi spiego tante cose…”

A quel punto, davanti agli occhi accusatori della mia mammy, il bruto non sa far altro che mollarle un ceffone.

Non doveva farlo, no, non doveva proprio. Con tutta la rabbia repressa negli ultimi tempi, gli salto in testa e lo graffio, gli mordo gli zigomi e la bocca, poi passo alla gola, dove affondo i denti prima che un cazzotto mi lascia a terra tramortita.

Tiziana grida inorridita, prende il telefono, chiama l’emergenza e, poco dopo, una barella si porta via, spero per sempre, l’intruso.

La mia mammy fatica a evitare che io venga soppressa (non so esattamente che cosa significhi, ma deve essere qualcosa di molto brutto).

La vedo infine infilare in una borsa tutta la roba dell’umano e, piangendo, portarla non so dove.

Siamo finalmente di nuovo sole. Io cerco di farle dimenticare quella brutta esperienza con mille moine, la faccio divertire con le mie evoluzioni più buffe e, tempo una settimana, la pace regna di nuovo sovrana in casa nostra.

“Non abbiamo bisogno di altri noi due,” sussurro una sera a Tiziana.

Lei mi guarda e sorride, forse ha capito o forse vuole dirmi che la prossima volta sarà più attenta nello scegliersi un compagno.

(dal libro "Animali, amici miei" pubblicato nel marzo 2010)